Quantcast

“Enrico Letta salverà il PD?”, è la domanda di Franco Monaco alla vigilia dell’assemblea nazionale

L'ex parlamentare legnanese esprime il suo giudizio, alla viglia dell'assemblea dei dem, articolato in tre direzioni: la ragione della sua chiamata, le sue qualità personali, i problemi che lo attendono

Enrico Letta al Maga

Franco Monaco, parlamentare legnanese del Partito Democratico fino al 2018, interviene alla vigilia dell’assemblea che eleggerà Enrico Letta nuovo segretario dei democratici.  Ringraziamo l’amico Franco per aver accolto il nostro invito, convinti che il suo pensiero ci aiuterà a decifrare meglio i diversi temi di questo nuovo momento tanto importante per il partito.

A Enrico Letta mi lega una vecchia, fraterna amicizia. Ci si conobbe dentro l’associazionismo cattolico. Io, più grande di lui, nell’Azione Cattolica di Milano, lui, giovanissimo, nell’Azione Cattolica di Pisa. Anni dopo, dentro la politica e in parlamento, prima nella Margherita, poi nel PD. L’amicizia tuttavia non mi inibisce un giudizio che spero oggettivo ed equanime. Giudizio che articolo in tre direzioni: la ragione della sua chiamata, le sue qualità personali, i problemi che lo attendono.

Come è noto, all’origine della sua imminente ascesa alla guida del PD stanno le traumatiche dimissioni di Zingaretti motivate da parole come pietre. Un partito, il PD, afflitto da molti problemi:
1) un’affidabilità, un senso delle istituzioni, un tasso di professionismo del suo personale politico che tuttavia si spinge sino a una vena esageratamente governista/ministeriale e a uno schiacciamento sull’establishment a discapito di un rapporto vitale con la società e di un’autonomia di partito;
2) una dinamica interna imperniata su correnti essenzialmente concepite come cordate personali prive di un riconoscibile profilo politico-culturale (Zingaretti dixit);
3) il disagio generato dall’insediamento del governo Draghi dopo avere scommesso sulla continuità del precedente esecutivo Conte.

In questo quadro decisamente problematico, era difficile immaginare una soluzione più appropriata di quella di Enrico Letta. Le cui qualità personali sono da tutti – dentro e fuori del partito – riconosciute. Si pensi alla scuola dalla quale egli viene: quella di Nino Andreatta, ove ha appreso cultura economica, senso delle istituzioni, orizzonte europeo, nonché una ricca rete di relazioni domestiche e internazionali. Penso al suo brillante, precocissimo curriculum: ministro a 32 anni (ha battuto il record detenuto da Andreotti, giovanissimo uomo di governo reclutato da De Gasperi) sino alla presidenza del Consiglio. Infine – non è un dettaglio – le sue dimissioni dal parlamento cui è seguito l’insegnamento in una prestigiosa istituzione accademica di Parigi. Mostrando come si possa e si debba “staccare” dalla politica attiva e maturare altre esperienze professionali e culturali. Per poi, nel caso, tornare alla politica arricchiti.

Ora, dopo il suo disarcionamento da palazzo Chigi da parte di Renzi, lo si invoca a gran voce come “salvatore” del PD. Un po’ come si è fatto con Draghi al governo. Ma ho motivo di ritenere – come per altro mi sono permesso di osservare indirizzandogli un messaggio di incoraggiamento – che egli sia consapevole delle difficoltà e delle insidie che lo attendono. La prima è proprio il coro di chi oggi lo applaude. Fuori del PD, alimentando soverchie aspettative. Dentro il PD, con un unanimismo che rappresenta semmai un problema, in quanto dissimula differenze di visione (della società, della politica, del partito) che invece sarebbe utile fossero tematizzate e fatte oggetto di un aperto, franco confronto in un congresso che, da troppo tempo, il PD non fa. Con il risultato che, quelle differenze, si manifestano nella forma patologica dei giochi di posizionamento e dalle azioni di logoramento tra le “tribù.

Non sarà facile per Letta, dopo il probabile plebiscito di domenica, coniugare la cura per l’unità del partito con quella di dettare una linea politica chiara e riconoscibile. A cominciare dal rapporto, come si è notato, non facile con il governo Draghi. La sensibilità europeista, plausibilmente, dovrebbe favorire un rapporto collaborativo con Draghi, ma il PD non può permettersi di schiacciarsi totalmente su di esso.

Letta dovrà anche marcare una distinzione/ autonomia del partito rispetto al governo e traguardare al dopo Draghi nella politica delle alleanze. A cominciare dal rapporto con il M5S a guida Conte. Rapporto che, notoriamente, è stato ed è materia di controversie dentro il PD. Ce la farà? Me lo auguro e forse farebbero bene ad augurarselo tutti coloro che, pur da versanti diversi, auspicano un ridisegno e una stabilizzazione del sistema politico quando, a valle del governo di tregua, si riprenderà una sana competizione politica tra schieramenti alternativi.

Franco Monaco

Redazione
info@legnanonews.com
Noi della redazione di LegnanoNews abbiamo a cuore l'informazione del nostro territorio e cerchiamo di essere sempre in prima linea per informarvi in modo puntuale.
Pubblicato il 12 Marzo 2021
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore