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Giornata della Donna: “Donna non si nasce, lo si diventa”

Rosa Romano, presidente Casa del Volontariato. riprende anche questa celebre frase di Simone de Beauvoir, per cui la cosiddetta “femminilità” non è un destino biologico, quanto piuttosto una costruzione culturale e sociale

Elezioni a Legnano

Di 8 marzo ne ho celebrati molti e con stimoli diversi. Alcuni forti e agguerriti, altri più morbidi, altri festaioli, alcuni ancora con apatica rassegnazione. Le costanti erano: mimosa, uno o più eventi e tanti buoni propositi. La giornata si consumava così, in un soffio di primavera ed era come stare su un’altalena, nel momento in cui ci si lancia verso l’alto con l’ebrezza di raggiungere il cielo, pur sapendo che poi lentamente si ritorna nella posizione di partenza. Eppure come sull’altalena, 8 marzo dopo 8 marzo, ho continuato a spingermi in su, con l’illusione di raggiungere il cielo.

 “Donna non si nasce, lo si diventa” scrisse Simone de Beauvoir.  Frase celebre, sconvolgente per il periodo e diventata nel tempo icona di un pensiero e di un movimento.  Secondo Simone de Beauvoir la cosiddetta “femminilità” non è un destino biologico, quanto piuttosto una costruzione culturale e sociale; la donna non ha un’identità fissa e immutabile, costituita da un mix di scienza, filosofia e pregiudizio maschile, ma è un soggetto a tutto tondo capace di modificare la propria “natura” attraverso la presa di coscienza di sé.

Sono passati più di settant’anni da allora e noi donne di strada ne abbiamo fatta, negarlo sarebbe un errore. Abbiamo intrapreso un viaggio che ci ha trasformate, ci siamo impegnate per creare una società nuova, abbiamo preso coscienza di noi e del nostro corpo, eppure anche se nella vita abbiamo compiuto scelte difficili e coraggiose, abbiamo dentro ancora dei condizionamenti che ci fanno sentire non completamente realizzate.

E’ questo “il problema senza nome” come lo chiama Betty Friedan nel suo saggio “la mistica della femminilità”.

Il problema c’è e resta, ridimensionato, “profilato” sul modello della società attuale perché sebbene siano crollate tantissime convenzioni e oggi siamo molto più libere di scegliere studi, lavori, compagni, orientamento e comportamento sessuale, è ancora forte la voce di chi sostiene che essere donne sia un destino e che essere femminili significhi comportarsi in una maniera ben precisa. E anche se solo sussurrata questa voce forte s’insinua nei pensieri crea convinzioni, determina i comportamenti, rende invisibili alcune realtà.

Cercavo giorni fa alcuni dati sul volontariato femminile quando mi sono imbattuta in un articolo del 2017, dati successivi al 2017 non li ho trovati, che titolava “Volontariato, cade un mito, le donne lo fanno di meno

Niente da controbattere se si citano i numeri, ciò che mi ha indignata e fatto riflettere confermandomi che “il problema senza nome” non è ancora risolto è stato, quel “cade un mito”. Incredibile mi sono detta.  Ma chi l’ha scritto – e chi gliel’ha lasciato scrivere –  cosa si aspettava? Come se non si sapesse che oltre al lavoro retribuito (che non è poco) le donne affrontano ogni giorno una quota inimmaginabile di lavoro gratuito, fatto in casa e fuori casa, (buon vicinato, direbbe qualcuno). Come se non si sapesse che la cura degli anziani è quasi tutta sulle spalle delle donne? Che la cura e l’educazione dei figli è compito e caratteristica peculiare delle mamme e delle nonne? Che la gran parte del lavoro domestico grava sulle spalle e sulle gambe delle donne? E ancora che se la vicina o il vicino anziano hanno bisogno del pane, di una medicina o di pagare un bolletta, è la donna che si offre per aiutarli? Come lo possiamo chiamare tutto questo? Certo non è volontariato strutturato, espresso e contabilizzato nelle quote di pil, ma è comunque lavoro non retribuito fatto per tanti motivi: amore, senso civico, dovere; non importa perché si fa, resta lavoro gratuito di cui beneficia la società e che incide pesantemente nella vita delle donne.

Adesso più di prima giacché la pandemia che ci logora da più di un anno ha penalizzato in particolar modo le donne, che si sono ritrovate esposte su molteplici fronti: economico, familiare e sanitario.

Molte hanno perso il posto di lavoro, chi l’ha mantenuto deve fare salti mortali e stringere i denti per tenere insieme tutto e gestire come può l’imprevisto e l’imprevedibile, soprattutto se c’è la DAD e i figli sono piccoli. E soprattutto se la disposizione della DAD arriva oggi per domani, senza neppure il tempo di organizzarsi. Che dire? Di fronte all’urgenza occorre rispondere. E a rispondere sono soprattutto le donne!

Non è ignoranza e neppure ipocrisia, quello che fa dire “cade un mito” solo leggerezza e atavica convinzione, “il problema senza nome” appunto!

Ecco perché, caro 8 marzo, nonostante siano passati più di settant’anni dal “donna non si nasce, lo si diventa”, nonostante abbiamo capito chi siamo e cosa vogliamo, nonostante abbiamo raggiunto posizioni invidiabili, ci resta ancora molto da fare per risolvere questo “problema senza nome”. E non sarà il 5° obiettivo dello sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 a scioglierlo, anche se in qualche modo ci darà lo stimolo. Saremo noi e ancora noi che ancora una volta dovremo alzare la testa. Sollevare lo sguardo e come sull’altalena, dare la spinta, forte, sempre più forte, se vogliamo ammirare il cielo.

Rosa Romano, presidente Casa del Volontariato

Redazione
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Pubblicato il 08 Marzo 2021
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