Era il giorno ch’al sol si scoloraro
per la pietà del suo factore i rai,
quando i’ fui preso, et non me ne guardai,
ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro.

Tempo non mi parea da far riparo
contra colpi d’Amor: però m’andai
secur, senza sospetto; onde i miei guai
nel commune dolor s’incominciaro.

Trovommi Amor del tutto disarmato
et aperta la via per gli occhi al core,
che di lagrime son fatti uscio et varco:

però, al mio parer, non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l’arco.

Francesco Petrarca, da “Rerum vulgarium frangmenta” o “Il Canzoniere”

L’estate ai tempi del covid ha fatto riscoprire a tanti la montagna. Un mondo a parte che ha appassionato nei secoli tanti poeti. E, tra gli insospettabili, anche Francesco Petrarca. Il poeta del XIV secolo è considerato uno dei padri dell’alpinismo o quantomeno uno dei suoi volti storici. Il perché è presto detto: tra il 24 e il 26 aprile 1336 Petrarca, insieme al fratello, scalò il Mount Ventoux (1909 metri) in Provenza. Impresa raccontata e descritta nella lettera “Ascesa al monte ventoso” raccolta nelle Familiares. Dopo la dura salita (viaggio dal valore anche simbolico, con Francesco che cerca scorciatoie e il fratello che incede diritto verso la meta / dio), Petrarca racconta di aver aperto il libro delle Confessioni di Sant’Agostino a caso ed essere incappato in queste righe: «e vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano sé stessi».