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Avanti ognuno per la sua strada: “Perchè non si ferma il virus in maniera uniforme?”

4 Aprile 2020

Buongiorno!

Sono una cittadina italiana, classe 1968, come tutti alle prese con la pandemia del coronavirus e le sue conseguenze.

Ogni sera, nella mia casetta di Nerviano, in provincia di Milano, ascolto il nostro “bollettino di guerra” dalla conferenza stampa della Protezione Civile.

Ogni sera ascolto i report dalle postazioni di trincea: ospedali, terapie intensive, case di riposo …

Ogni sera ascolto le testimonianze di chi è in prima linea: medici, infermieri, direttori sanitari, sindaci, operatori della Croce Rossa, della Protezione Civile, delle imprese funebri … e tanti altri …

Ogni sera … come tutti … credo …

Ogni sera, da alcuni giorni, mi ritrovo davanti ad alcune domande: Perché il Presidente Zaia fa in un modo, e il Presidente Fontana in un altro? Perché al Cardarelli fanno un test, e in altre regioni ne fanno altri?

Comprendo la straordinarietà di una situazione nuova per tutti e quindi la necessità di valorizzare i contributi di tutti, per fare fronte all’emergenza.

Mi sento orgogliosa della creatività del nostro popolo e della determinazione nel mettere questo ingegno a servizio del bene di tutti: la vita.

Sono orgogliosa dell’impegno di tanti, per attivare nuove postazioni di terapia intensiva in breve tempo (come l’Ospedale Fiera Milano) …

Sono commossa dalla generosità di molti, che ha permesso di raccogliere così tanti soldi in così breve tempo.

Quello che non capisco è perché non riusciamo, tutti, a fare 2+2: la scienza, infatti, ci dice che gli asintomatici del coronavirus sono quelli che diffondono la malattia nel modo più subdolo e pericoloso possibile, perché non sono rintracciabili … Una diffusione incontrollabile e disastrosa per tutti, soprattutto per i più deboli. La scienza ci dice ancora che, quando si presenta la febbre, la situazione di malattia è già conclamata e che, quindi, nelle settimane precedenti – asintomatiche – il febbricitante ha potuto “tranquillamente” infettare altri soggetti.

A questo punto c’è qualcosa che non mi torna:

Perché agli operatori sanitari, in prima linea (terapie intensive), il tampone viene richiesto solo se presentano una temperatura corporea uguale o superiore ai 37.5°? … A questo punto, se sono stati finora dei portatori asintomatici, non hanno già infettato le persone incontrate nei 15 giorni precedenti (presupposto che l’incubazione del virus sia solo di 15 giorni)? E proprio nella trincea della cura, cioè l’ospedale? E fare adesso, adesso che la febbre è salita a 37.5 ed oltre, il tampone, non è troppo tardi?

E se queste persone sono proprio quelle più fragili e più deboli, le più esposte, che hanno bisogno del loro aiuto…?! Tutto ciò non ha dell’agghiacciante?! L’operatore sanitario, quello che dovrebbe curare, proteggere, guarire, promuovere la vita, si è trasformato, senza saperlo, in un “angelo della morte”?

Ma se questo è vero per gli operatori sanitari che operano in prima linea, non è vero altresì per tutti gli altri operatori sanitari? Cioè per quelli che lavorano nelle corsie degli stessi ospedali, sui territori comunali, nelle case di riposo e nelle varie strutture a breve e lunga degenza? Insomma, per tutti coloro che lavorano a contatto con le persone più fragili, come, ad esempio, gli anziani?
Che meraviglia, dunque, che, salvaguardati – più, o meno – gli ospedali, proprio le tante case di riposo del nostro territorio si trasformino in altrettanti focolai, con un tributo di morti, di cui non abbiamo ancora il conto esatto?
A questo punto che senso ha coinvolgere – comunque e dovunque – nella lotta contro il coronavirus, dei volontari, s’intende asintomatici (!), senza fargli SUBITO il tampone? Dal momento che, ormai l’abbiamo capito (?!), ogni asintomatico può essere un portatore del virus, capace di compromettere non solo la salute, ma la stessa vita delle persone più deboli (vedi gli anziani), che è venuto a soccorrere?
Veniamo al sodo… Per dare anch’io una mano, da qualsiasi parte, mi sono offerta come volontaria… Mi ha preso, al volo, una casa di riposo… Per avere la coscienza tranquilla, ho chiesto che, prima di farmi entrare, mi facessero il tampone… Mi hanno risposto che non me lo potevano fare… Che senso ha tutto questo?

Mi sembra che il SSN, nella nostra Lombardia, pur nell’efficienza dimostrata, presenti proprio questa incongruenza: fare il tampone solo a chi ha una temperatura di 37.5°, invece di fare uno screening a tappeto su tutta la popolazione degli operatori sanitari e dei volontari che si adoperano, a vari titoli, in questa crisi epocale.

Per non parlare di tutti “i nostri nonni e le nostre nonne”, che aspettano seduti nei saloni delle case di riposo che qualcuno difenda le loro vite, mentre con gli occhi preoccupati e spaventati sembrano dire, attraverso un vetro: “Non voglio morire, voglio vivere”.

Comprendo le difficoltà economiche … Ma non si potrebbe aprire una corsa di generosità, per recuperare i tamponi necessari a questo screening salvavita, come si è fatto per allestire i nuovi padiglioni di rianimazione?

Perché è così difficile far passare questo semplice concetto: prevenire è meglio che curare … E, aggiungerei, seppellire?

Perché il governatore del Veneto ci è arrivato, e noi, in Lombardia, come – pare – nel resto d’Italia, ancora non ci siamo?

Una cittadina.

Alessia Almoni

 

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