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La SVOlta: Dire addio a 17 anni

14 Giugno 2014

Noi della SVOlta siamo sensibili a tutti i problemi del sociale. Consideriamo la politica uno strumento straordinario per “riconoscere” i problemi della nostra società. Quando succedono fatti drammatici, solitamente la politica “osserva” ma, spesso, non adotta interventi utili a “inquadrare” la situazione e a rintracciare le vere cause sociali che determinano i fenomeni preoccupanti, in particolare quando vengono coinvolti i giovani. In questo caso mi riferisco alla disperazione. La disperazione è quel sentimento che tutti noi possiamo incontrare nella nostra esistenza, in particolare nell’età adolescenziale, periodo di vita che fa parte, dei più “delicati” e difficili dell’esistenza umana.

In questi giorni si è tolta la vita una ragazza di 17 anni ( che chiameremo convenzionalmente Anna). Questo è un fatto sociale che richiede un’analisi profonda, solo così, possiamo rintracciarne le cause che determinano certi atti tanto allarmanti quanto disarmanti. Viviamo un epoca storica in cui gli atti suicidari di giovani adolescenti e di persone che hanno perso il lavoro sono quasi all’ordine del giorno e questo è un fenomeno che la politica deve interiorizzare e cercare di risolvere. Il dramma non è assolutamente da trascurare e si presenta a tutti noi come un chiaro “messaggio” sul quale diviene necessario riflettere nel modo più profondo ed efficace. Quando accadono tragedie di questa portata la tendenza generale si orienta verso un’analisi sostanzialmente superficiale che non coglie le vere motivazioni che stanno alla base del fatto ma, si tende a ravvisarne le cause nella complessità della società. In realtà la complessità del sociale si forma storicamente attraverso un processo nel quale tutti gli elementi che lo costituiscono convergono verso un univoca direzione rintracciabile nell’evoluzione o nell’involuzione del Sistema stesso.

Il sociale è una costrutto umano: siamo noi stessi a determinarlo, semplice o complesso che sia, in rapporto alla nostra semplicità o alla nostra complessità. Per cui ridurre l’analisi al modello strutturale della società, costituisce una vera e propria fuga dalle responsabilità soggettive e di chi ci rappresenta: le Istituzioni. Personalmente, ritengo opportuno un approfondimento volto a rintracciare ciò che sono le probabili cause di questa e di altre sciagure sociali. Pertanto, seguirei una traccia riconducibile al processo di socializzazione al quale noi tutti ci sottoponiamo per costituirci come “persone”, come individui dotati di personalità.

Al momento della nostra nascita disponiamo sostanzialmente di “strumenti” fortemente radicati nelle sensazioni primarie e biologiche; la nostra psiche possiede una struttura apparentemente “rudimentale”, ma che è più semplicemente “essenziale”, sufficiente e “necessaria” per la formulazione delle “risposte” verso l’ambiente circostante, formato prevalentemente e principalmente dalla mamma e dai famigliari. Crescendo, interiorizziamo i continui e persistenti “messaggi” che il Sistema Sociale di riferimento ci trasmette grazie a una normativa formale e informale alla quale ci dobbiamo necessariamente conformare per poter interagire con gli altri. In questo processo si forma la personalità, cioè l’assunzione del “ruolo” che la società ci attribuisce.

La nostra essenzialità, individuabile nell’interiorità più profonda alla quale facevamo riferimento nelle prime fasi di vita tende a stemperarsi: la distanza fra l’essere e l’apparire diviene sempre più ampia.

L’etimo del termine “persona” ci riconduce alla civiltà Etrusca dove la parola “persu” costituiva il significato di “maschera”. Dunque diventare persone significa “indossare” la “maschera” che ci attribuisce il Sistema Sociale di riferimento. Il “tracciato” attraverso il quale si costituisce la personalità, presenta ostacoli che a volte ci appaiono insuperabili, in particolare quando attraversiamo quella fase di vita ravvisabile nello stadio adolescenziale.

In questo arco temporale, le pulsioni biologiche della pubertà e quelle psichiche dell’adolescenza creano forti conflittualità anche su cose che per l’adulto appaiono scontate e risolte. In realtà sono messaggi chiari che le Istituzioni devono necessariamente recepire e soprattutto “decodificare”. In questo senso avverto l’utilità dell’analisi regressiva che ognuno di noi può adottare, sforzandosi di ricordare con i maggiori dettagli possibili le sensazioni che anche noi percepivamo nella nostra adolescenza.

Il ricordo è uno strumento che a sovente costa molta fatica: potrebbe ricondurci a momenti che non vorremmo ricordare, ma sono proprio quei momenti che occorre considerare maggiormente, rintracciando in quei ricordi, le sensazioni, i sentimenti e i timori alla base del loro costituirsi. In questa nostra “esplorazione”, in questo indagare in profondità nel nostro passato scopriremo che la fase scolastica assume forte rilevanza al punto da occupare gran parte dello spazio a disposizione. Ed è li che occorre persistere. Il Sistema scolastico poggia necessariamente sull’emissione di “giudizi”. Noi siamo costantemente giudicati al punto che interiorizziamo il giudizio al punto da utilizzarlo costantemente verso gli altri e questo purtroppo è inevitabile. Tutto il Sistema Sociale si basa sul giudizio, sul giudicare gli altri. Tutti ne siamo vittime, io compreso ovviamente. Tuttavia, la tendenza a giudicare, possiede un carattere pervadente, determinante per la formazione dell’autostima della persona giudicata. L’autostima, elemento costituente della personalità di ognuno di noi, si elabora attraverso il rapporto con l’altro, interiorizzando il grado di considerazione che l’altro ha nei nostri confronti. Il Sistema Scolastico deve necessariamente adottare il giudizio quale termine di valutazione dello studente, tuttavia utilizzando uno strumento quantitativo (il voto numerico), per “misurare” l’efficienza e la qualità di uno studente, “quantifica” una qualità che spesso lo studente “valutato”, interpreta come valore del suo personale stato sociale, agendo a volte in modo importante, appunto, sull’autostima.

Credo che ogni ragazzo abbia delle qualità specifiche e queste devono essere “ponderate” e “valutate” con metodi che tendano ad aiutarlo concretamente a considerare e a “coltivare” queste sue caratteristiche “specialistiche” supportando in questo modo la sua autostima e la sua personalità. Anna, aveva indossato come tutti noi la “maschera”, aveva assunti un ruolo. In realtà, Anna, come molti altre ragazze e ragazzi della sua età, non si ritrovava più nella sua personalità, la distanza fra la sua vera “essenza”, la sua interiorità, il suo “essere” più profondo e la rappresentazione esteriore che le era “richiesta” dal ruolo sociale a cui doveva fare riferimento costituendosi come persona, si era dilatata a tal punto da non poter, neppure in modo conflittuale mettere a confronto questi due elementi fondamentali: interiorità, elemento psichico ed esteriorità, elemento sociale.

Ci sono due modi per modificare il proprio ruolo sociale; la “ribellione” entrando in contrasto con il Sistema, pur rispettandone le regole del buon senso e giuridiche e facendo appello alla libertà d’espressione che per fortuna ancora possediamo, oppure, uscendo dal Sistema stesso.

Quella ragazza ha scelto la seconda ipotesi e l’ha fatto nel modo, per noi, inaccettabile e assurdo. Da quel ponte non si è gettata Anna, ma lei, ha gettato la sua maschera, la sua personalità, quella esteriorità che aveva divorato la sua essenza, la sua preziosa interiorità che non trovava più. 

Rino Taglioretti Con La SVOlta

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