LETTERA DI UN EX DIPENDENTE: “TENIAMO VIVA LA MEMORIA DELLA MANIFATTURA”
25 Marzo 2013
Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni di un nostro lettore sulla Manifattura di Legnano, fabbrica dove ha lavorato per 37 anni. Nel fine settimana l'azienda è stata aperta alle visite in occasione della Giornata di Primavera del Fai (leggi qui il servizio) e il nostro lettore con le sue considerazioni lancia un appello affinchè "questo gioiello d'architettura non venga abbattuto per fare spazio ai soliti condomini ma resti vivo come monumento per salvaguardare il territorio"
Mentre i lavoratori della Franco Tosi, a cui va tutta la mia solidarietà, sono in lotta con presidio fisso e manifestazioni varie per la difesa del posto di lavoro, oggi 23 e 24 marzo il FAI (Fondo Ambiente Italiano), per la “XXI Giornata FAI di Primavera” tra le escursioni organizzate in città, con il permesso e la collaborazione della proprietà, ha potuto far visitare la Manifattura di Legnano. Volendo rivedere l’azienda dove ho lavorato per 37 anni ho approfittato dell’occasione, per “visitare” i padiglioni o sale dello stabilimento e gli uffici, tra l’altro ho incontrato qualche amico ex dipendente e ne ho approfittato per salutare e scambiare quattro chiacchiere. Non è stato facile pensare e vedere che siamo dopo pochi anni dalla chiusura già quasi diventati un museo, all’ingresso dei capannoni filatura e preparazione divisi da un corridoio lungo 145 metri, era posizionata una balla di cotone pressata e avvolta nel classico sacco di Juta, sopra la balla una spola di banco, una bobina di filatura ed una rocca, quasi a rappresentare l’intero ciclo di lavorazione, dietro sul muro una gigantografia con la veduta dall’alto della fabbrica. Un ragazzo giovane faceva del suo meglio per spiegare ad uno dei tanti gruppi di visitatori quando era nata la fabbrica, cosa produceva e con quali tipi di cotone. Non per mancargli di rispetto, anzi a lui tanti complimenti, mi sono fatto una domanda, ma che ne sa questo ragazzo di filatura, qui accompagniamo persone che non capiscono e ne sanno meno di lui, che forse hanno solo la curiosità di vedere una vecchia fabbrica, costruita con il mattone rosso, che era l’oggetto da ammirare per dire “hai visto cosa esisteva una volta” ed in questo aiutava un vecchio filmato proiettato all’ingresso della sala filatura che mostrava passaggi di lavorazione obsoleti dei primi anni del secolo scorso, si questa fabbrica ha più di cento anni.A quel punto ho preferito andarmene con mia moglie a fare da soli il giro dello stabilimento. Pochi anni fa accompagnavo i clienti provenienti da tutto il mondo a vedere la tecnologia innovativa e d’avanguardia, ogni macchina era automatica e dotata dell’elettronica più sofisticata per il processo produttivo con controlli di lavorazione che facevano la tac al filato ed eliminavano i suoi difetti. Mi chiedevo nel buio dei padiglioni, mi ero comunque portato una buona torcia, ma quanti anni sono passati, troppo pochi, guarda com’è ridotta la povera fabbrica a museo archeologico, come faremo a risolvere i problemi occupazionali del paese? La struttura è ben conservata come estetica e gli spazi vuoti tra la colonne mi dicevano, ma dove sono le macchine, dov’è la gente che qui ha lavorato anche la domenica pomeriggio con il ciclo continuo per far vivere quest’azienda, a cosa sono valsi tutti quei sacrifici? Quanti sentimenti sono passati qui dentro, mentre il “Gruppo ML” con i suoi dieci stabilimenti in Italia e le consorziate estere di pari numero, produceva 35 milioni di kg. di filo all’anno, pari ad avvolgere per 70 volte la circonferenza della Terra. Quanta storia è passata dentro queste mura, dalle incazzature coi capi per i carichi di lavoro, al lavoro accettato anche la domenica per non far portare gli investimenti in Val Brembana, dai tempi d’oro del convitto, dell’asilo delle suore, della chiesetta poi sconsacrata e trasformata in laboratorio controllo qualità.Pensavo agli amici che avevo li dentro, pensavo al Dottor Roncoroni che orgoglioso dei suoi stabilimenti aveva fatto issare una bandiera bianco e blu coi colori dell’azienda sul pennone d’ingresso della portineria di via Palestro, mi ricordavo dei suoi dirigenti che portava sempre sul palmo di una mano, equipaggiati a Mercedes e che sapeva ben scegliere come direttori per i diversi momenti economici aziendali. Serve ridurre il personale metto un cavallino che sa dialogare con i sindacati, devo aumentare la produttività metto un carabiniere che ti sorveglia e via discorrendo, dirigenti che poi alla sua morte in alcuni casi non hanno aiutato la figlia venuta per salvare l’azienda di papà. Principale di vecchio stampo con l’immancabile sigaro in bocca, vero signore, era sempre il primo a porgere il saluto a qualsiasi lavoratore. Grande dottore tu eri nel tuo ufficio ammalato alla veneranda età di 80 anni, tu eri la bandiera, avevi tanti soldi ma eri ancora lì perché la tua azienda ti stava a cuore! Oggi tutti i reparti vuoti, le macchine sono state vendute e portate in Vietnam, senza offesa al popolo, i cambogiani siamo diventati noi ! Non ci sono più i prelevatori di mischia, le macchine di batteria, le carde, gli stiratoi, i super lap, le pettinatrici, i banchi, i ring, le roccatrici, le binatrici, i ritorcitoi, il gas, le aspe i magazzini e le spedizioni, tutto è irrimediabilmente vuoto, tutto è sconsolante desolazione. Ci sono stati tentativi di tener in vita con altre attività il complesso, si parlava di un interessamento di Rai 3, poi di fare la “Cittadella della Moda”, invece fatta a Milano in zona Garibaldi. Niente da fare non si è riuscito a dare nessuna continuità, ora tutto è in vendita alla modica cifra di 15 milioni di euro, con la crisi dell’edilizia si è già perso valore per area ed immobile. Un gioiello d’architettura in vendita che non merita di essere abbattuto per costruire i soliti condomini e lasciando la ciminiera come segno dei tempi, ma che va sfruttato e mantenuto vivo come monumento con le opportune iniziative che se intelligenti aiuterebbero nella salvaguardia del poco territorio rimasto a Legnano e atte alla conservazione del suolo. Facciamo uno sforzo mentale per gli insediamenti industriali, artigianali e commerciali che liberando la campagna continuerebbero a far vivere il mattone rosso. Per mantenere viva la memoria produttiva
Fulvio De Monte
Ecco le foto del ciclo di lavorazione
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