L’ABBRACCIO COLLETTIVO DI ALBERTO CENTINAIO
Centinaio e una campagna elettorale accanto ai luoghi simbolici di Legnano - Ai piedi della "Teresa", sabato pomeriggio, il racconto della "signora" smemorata, a chiusura dei 150 anni dell'Unità d'Italia
Continua la campagna elettorale di Alberto Centinaio, qui accanto in una foto d'archivio: a partire da sabato scorso alcuni luoghi simbolici della Legnano diventano punti di riferimento per momenti di pubblico confronto su temi che riguardano la cittadinanza. Il primo incontro si è tenuto accanto alla statua della “Teresa”, di fronte al palazzo Leone da Perego; il titolo dell'evento è stato “Abbracciamo la cultura”. Tra gli interventi, oltre a quello di Centinaio e di Carlo Penati, sociologo che ha parlato circa il significato della cultura popolare, anche quello di Giorgio Vecchio, legnanese docente di Storia contemporanea presso l'Università degli Studi di Parma. Quest'ultimo si è richiamato al significato del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, di cui ieri si sono concluse le celebrazioni ufficiali, in chiave legnanese, con un testo che riportiamo qui sotto, integralmente.
Il racconto della signora smemorata
La signora Italia era ancora una bella donna: molti si voltavano per ammirarla e, anzi, venivano da terre lontane per conoscerla. Per la verità anche per lei gli anni cominciavano a farsi sentire: qualche ruga cominciava a preoccuparla e tra i suoi capelli corvini erano spuntati i primi fili bianchi. A detta dei suoi ammiratori, però, questi segni del tempo non facevano che aumentare il suo fascino.
La signora Italia aveva però un problema che accuratamente nascondeva a tutti e che, anzi, cercava di negare anche a se stessa: stava diventando smemorata. In fondo al suo animo le capitava talvolta di pensare con orrore ai segnali dell’Alzheimer, ma subito respingeva con un brivido questa terribile ipotesi. Tuttavia il problema rimaneva: talvolta si accorgeva di non ricordare più bene i tempi della sua infanzia, che vagamente sapeva essere stata dura; in altre occasioni faceva fatica a mettere i fuoco persino i giorni della sua maturità, quelli ancora più duri e dolorosi. Sentiva, insomma, un disagio interiore che non riusciva né a comprendere né a dominare.
La signora Italia scelse allora di lasciarsi andare. Dopotutto, a cosa serviva ricordare il passato? Non era forse meglio concentrarsi sul presente e goderselo fino in fondo? Lasciarsi alle spalle i dolori di un tempo e non pensare a un futuro che rischiava di apparire angosciante? Suvvia, inutile porsi tante domande e affidarsi a quei medici della memoria – gli storici – che di tanto in tanto le capitava di incontrare sulla sua strada. Quanto erano noiosi e insopportabili!
Le cose funzionarono bene, almeno all’inizio. La signora Italia cominciò a sentirsi più giovane e vivace, non sentì più quel disagio interiore e ebbe persino voglia – lei che in passato era stata pure austera – di raccontare barzellette un po’ osè ai suoi sbalorditi vicini.
Dopo qualche tempo, però, il disagio riaffiorò e anzi si fece più acuto. Peggio: la signora Italia cominciò a chiedersi a cosa servisse la sua presenza nel mondo e, cosa ancor più fastidiosa, iniziò a dubitare di se stessa. Una domanda la assillava sempre più frequentemente: ‘Ma, in fondo, chi sono io?’.
Insomma, entrò in una profonda crisi di identità: i suoi vicini di casa le divennero insopportabili, cominciò a non voler più visite, scacciò con durezza fuori dalla porta coloro che avevano osato venirla a trovare. Non curò più la sua bellezza: i suoi vestiti, famosi per i colori del sole, del mare e dei monti, non vennero più puliti e stirati; i suoi gioielli d’arte si ricoprirono di polvere e di sporcizia. Le sue insegne verdi-bianco-rosse furono lacerate da persone che la detestavano. Italia non se ne curò.
Quando la sua decadenza sembrava senza fine, i pochi amici che le erano rimasti riuscirono a spingerla verso dei medici, che si misero di buzzo buono per rimediare alla situazione. Con un certo stupore, la signora Italia si accorse allora che essi non erano tutti delle celebrità: sì, c’erano validi tecnici, ma anche imprenditori, operai, casalinghe, insegnanti, studenti, cittadini qualunque che si facevano avanti per darle una mano. Gli economisti più esperti si presero cura delle sue finanze, altri cominciarono a ripulire i suoi vestiti – quelli verdi, soprattutto – e a lucidare i gioielli di casa, qualcun altro cercò di alloggiare con un po’ più di gentilezza gli stranieri che bussavano alla sua porta.
A qualcuno toccò il compito forse più difficile: far ritornare la memoria alla povera signora Italia. Non era davvero uno scherzo! Lei continuava a ripetere che la memoria non serviva a nulla. Però piano piano la bella signora fece qualche progresso e, con sua sorpresa, scoprì tante cose che toccavano la sua stessa vita.
Qualcuno le raccontò di quando lei, Italia, stava per nascere. Le spiegarono che tanti giovani erano morti per darle la vita e per proteggerla dalle insidie di nemici prepotenti e invidiosi: Italia si commosse pensando a quei ventenni, ma persino a quelle madri di famiglia che si erano sacrificate per lei. Nella mente le restò anche il nome di una di loro, una legnanese chiamata Ester Cuttica, che aveva patito il suo calvario nelle prigioni austriache.
Qualcun altro, invece, rammentò a Italia quanto era successo decenni più tardi, quando un vicino scostumato e violento, di nome Adolfo, l’aveva oltraggiata e persino violentata. La signora Italia rivisse piangendo quei tempi (erano proprio quelli che aveva voluto rimuovere dal suo intimo). In breve dal fondo della sua memoria ritornarono a galla vicende, nomi, dolori. Ma come poteva avere dimenticato tutte queste cose? Come poteva aver dimenticato i volti imberbi dei giovani, le gote morbide delle ragazze, la mani callose degli uomini, gli sguardi affettuosi delle madri che l’avevano difesa dal cattivo Adolfo e dal suo sodale Benito? Fu in quel groviglio di emozioni e di lacrime che la signora Italia recuperò anche il caro nome di due suoi innamorati, Mauro Venegoni e Giuseppe Bollini.
La cura non era però ancora terminata.
Altri medici vollero insistere sulle condizioni di miseria in cui per tanti anni Italia si era trovata a vivere. In quel suo cuore gonfio ritrovarono spazio i figli verso cui era stata matrigna cattiva più che madre affettuosa. Oh, quei figli che avevano dovuto lasciare la sua casa per sfuggire alla fame e cercare fortuna nel mondo! Quante sofferenze! E come poteva, adesso, sbarrare le porte a quei nuovi figli che, quasi a sostituire quelli persi in anni lontani, allungavano le braccia verso di lei?
Ci vollero molti anni per guarire la signora Italia. Intanto i suoi capelli erano diventati più grigi, ma quel grigio splendeva ogni giorno di più. Il fascino di una signora di mezza età sembrava ancor più irresistibile, persino ai più giovani. Tornarono a farsi vivi gli ammiratori delusi. Alla sua festa di compleanno – non diremo, per rispetto, quanti anni avesse compiuto nel 2011 la signora Italia – si verificò un entusiasmo come da tempo non si vedeva. Italia capì che tanti le volevano ancora bene e che i suoi figli e le sue figlie avevano ancora bisogno di lei.
La signora tornò a pensare al futuro. Pensò a quante cose avrebbe ancora potuto fare, sognò e progettò in ogni campo della vita. Insomma, scoprì un entusiasmo e una ragione di speranza. Non si sentiva più avviata verso una decadente vecchiaia, ma si godeva una nuova, inattesa, giovinezza.
Soprattutto, però, comprese che quella memoria che aveva voluto scacciare da sé e che aveva considerato tanto noiosa e inutile, era invece necessaria.
Perché soltanto da questa memoria del suo passato poteva essere aiutata a capire chi fosse davvero.
Perché soltanto questa memoria le poteva far apprezzare la generosità di chi le aveva voluto bene al punto da dare la vita per lei.
Perché soltanto questa memoria la poteva spingere a guardare al domani con più serenità e speranza.
Da quei giorni il ricordo dei tanti figli e figlie che avevano donato al vita per la propria madre aiutò la signora Italia a voler più bene ai figli e alle figlie più giovani che adesso le stavano accanto.
GIORGIO VECCHIO
Galleria fotografica a cura di FABRIZIO COZZI
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