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I FRATELLI VENGONI DESCRITTI DA DARIO, FIGLIO DI CARLO

25 Ottobre 2011

Caro direttore, ho letto il ricordo dei fratelli Venegoni scritto dal prof. Restelli, che conosco da tempo e apprezzo per le cose che scrive.

Conoscendo abbastanza l'argomento, se non altro per essere figlio di Carlo Venegoni, mi sento di proporre alcune riflessioni.

La prima riguarda l'esistenza di ‘un'altra resistenza’ rispetto a quella ‘ufficiale’. Non si può che concordare con Rastelli: esistevano diverse resistenze, e tra le tante c'era anche quella legata a una visione ‘di classe’, alla quale a lungo sono rimasti legati i fratelli Venegoni. C'erano, come è arcinoto, anche una resistenza monarchica, una liberale, una democristiana, una socialista, una ‘azionista’… la resistenza, quella che alla fine ha vinto, io non la chiamerei ‘ufficiale’, perché tale non era, ovviamente. Era un movimento multicolore, nel quale confluivano tendenze e aspirazioni differenti, che si accordarono su un minimo comune denominatore – la cacciata dei fascisti e la liberazione dai tedeschi occupanti – dichiaratamente rinviando molte questioni in sospeso a quando fosse stata instaurata nel paese la democrazia.

La posizione politica del gruppo dei fratelli Venegoni era nel 1943-44 molto simile a quella che il PCI aveva sostenuto durante tutto l'arco del ventennio fascista: era stato Togliatti, rientrato in Italia, a operare la ‘svolta di Salerno’, che era appunto una svolta, un cambiamento repentino di linea. La lettura che Restelli dà dell'esperienza politica dei fratelli Venegoni mi pare eccessivamente squilibrata verso una tesi di un dissidio permanente tra loro e il PCI. Leggendo il suo articolo si sarebbe indotti a pensare a una quasi permanente ‘alterità’ dei due fratelli rispetto al vertice del partito, se non addirittura a una loro estraneità rispetto al partito stesso.

Così ovviamente non fu. Carlo militònel PCI, con funzioni dirigenziali anche importanti, per oltre 60 anni; Mauro per oltre 20.

Restelli dice che l'opposizione bordighiana fu messa al bando nel partito, ma dimentica di dire che proprio in quel periodo Carlo fu eletto nella ristretta cerchia – una dozzina in tutto – dei membri del Comitato centrale uscito dal congresso di Lione, nel 1926.

Quando mio padre fu arrestato a Torino, nel 1927, operava in quella città proprio su incarico del Comitato centrale del PCI. E quando Mauro fuarrestato in Calabria nel 1932, era stato inviato là dal Centro estero del partito di Parigi, nel tentativo di ricostruire l'organizzazione nel Mezzogiorno. I Venegoni non solo non erano fuori del PCI: ne erano dirigenti di rilievo nazionale.

La esperienza dei fratelli Venegoni, antistalinisti, decisi a difendere la propria autonomia di giudizio anche dentro il partito, dimostra semmai che non è vero che nel PCI era necessario essere conformisti, e quindi stalinisti, neppure negli anni dell'antifascismo e in quelli della guerra partigiana.

Anche sulla polemica con il PCI milanese nel 1943-44 avrei una precisazione da fare. Non è vero che Mauro Venegoni rifiutò di rientrare a pieno titolo nel partito, anzi: è vero l'esatto contrario. Fu il PCI milanese, nelle persone di Giovanni Brambilla e di Secchia, che accettarono il rientro in blocco di tutto il gruppo legnanese, con la sola eccezione di Mauro, sul quale pendeva un provvedimento di espulsione assunto dal collettivo comunista del campo di concentramento fascista delle Tremiti, un paio di anni prima. Carlo e Mauro Venegoni anche allora si dimostrarono più aperti, più convinti della necessità dell'unità di alcuni dirigenti stalinisti del partito di allora. A questo atteggiamento mio padre rimase fedele per tutta la vita, predicando anche all'interno del PCI il principio della ‘unità nelladiversità’ e rivendicando con decisione il proprio diritto-dovere di opporsi sempre a decisioni e a proposte che non lo convincevano. Un atteggiamento, mi sia consentito di aggiungere, concludendo, ancor valido adesso, se solo tutta la sinistra imparasse da quel lontano esempio a discutere con apertura e con franchezza di tutto, senza ipocrisie eposizioni precostituite, lavorando poi compattamanente e unitariamente per l'applicazione delle scelte scaturite da quel dibattito.

Grazie comunque a LegnanoNews per l'attenzione dedicata a quelle figure di combattenti antifascisti, e al prof. Rastelli per l'impegno di ricerca sul tema, che ci consente ancora oggi, a tanti anni di distanza, di vedere i fratelli Venegoni come persone in carne ed ossa, vivaci e combattive, e non oggetti imbalsamati di una stanca commemorazione.

Cordialmente

Dario Venegoni 

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