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13.apr.11 -IVO PAIUSCO: LEGALITA’ E PERSONA RICORDANDO L'EVENTO DEL 16 APRILE

13 Aprile 2011


Egregio Direttore, le chiedo ospitalità per esprimere il mio pensiero di comune cittadino, sollecitato dalle numerose iniziative e dal dibattito suscitato dal tema della diffusione delle mafie e dell’educazione alla legalità. Emerge oltre alla denuncia del fenomeno e dei rischi connessi anche lo scandalo che non vi sia stata sinora una adeguata reazione collettiva della società civile, in primis degli imprenditori e dei politici. Una sintesi di tale posizione si può rinvenire nel recente comunicato dell’associazione Polis di Legnano, che recita: ‘Le molte voci levatesi dalla città per lanciare l’allarme e l’autorevole iniziativa del Decanato svoltasi al Liceo devono richiamare le istituzioni, le forze dell’ordine e ogni persona “di buona volontà”, a vigilare. Purtroppo risulta che non tutti i politici locali lo abbiano capito. Le “mafie” sono un cancro, sono un male assoluto e una vergogna per il nostro Paese. Chi non sostiene, senza fraintendimenti, la via della legalità e chi non combatte le mafie e la cultura mafiosa, sta – di fatto – dalla parte dei mafiosi.”

A mio avviso questo modo di porsi di fronte alla questione – come se fosse un male completamente esterno a noi – si presta a gravi rischi, in primis quello di innescare una pericolosa cultura del sospetto pronta ad additare il complice in chi non dovesse sposare integralmente, in modo militante e immediatamente sollecito, questa posizione o questo modo “senza se e senza ma” di combattere la mafia (di modalità credo possano essercene anche diverse e non tutte appariscenti) è già “out” perché la logica del “tutto bianco o tutto nero” è ferrea e un “male assoluto” non si discute. Paradossalmente, estremizzando questa logica, si potrebbe sponsorizzare la Lega più oltranzista dichiarando Campania, Puglia, Calabria e Sicilia territori “complici” senza speranza, da abbandonare a sé stessi, perché abitati da un popolo che ormai da decenni convive e tollera, volente o nolente, la mafia senza riuscire almeno a indebolirla. Preciso che non intendo sottovalutare la gravità del radicamento del fenomeno mafioso nei nostri paesi, anche se non ne ho fortunatamente esperienza diretta. Desidero invece integrare il dibattito con alcune considerazioni sul modo di reagire e di porsi, in aggiunta ai contributi già giunti dalle serate di denuncia e dalle manifestazioni come quella degli studenti di Busto, partendo dalla constatazione che se un male si diffonde significa che la debolezza della reazione o l’humus favorevole è già presente in primis in ognuno di noi.

Non mi ritengo un eroe e spesso mi vergogno del mio scarso coraggio, per cui tra un profeta biblico e un don Abbondio che “il coraggio uno non se lo può dare” credo di essere più vicino a quest’ultimo; non per niente al profeta la forza veniva non da sé ma da Dio. Credo però di essere in buona compagnia; prima o poi viene un’occasione in cui rivelare di che pasta siamo fatti, senza essere ora in grado di mettere la mano sul fuoco su come ci comporteremmo. L’esperienza dice che non abbiamo il potere di liberarci dal nostro stesso male, figurarci da quello degli altri. Fortunatamente è ancora molto diffusa la buona coscienza di sapere ciò che è bene e ciò che è male, fino a provare un sano rimorso per le proprie incoerenze e pavidità, e così ricominciare (se qualcuno ci darà un’altra possibilità).

Mi vengono in mente due spunti di lavoro. Il primo personale, su di sé: da dove viene la consistenza di sé come persona, e la capacità di esercizio di libertà e responsabilità. Il secondo riguarda alcune modalità associative e il loro modo di porsi oggi rispetto a un’esigenza educativa della persona: la forma politica, quella imprenditoriale e quella ecclesiale.

Sul piano personale il punto di partenza è sicuramente il riconoscimento del proprio limite e della propria contiguità al male come al bene, il fatto che da soli non si è capaci a cambiare gran che. Le regole non hanno mai entusiasmato nessuno, soprattutto i giovani, e se ci sarà una ripresa di orgoglio e dignità non sarà sulle regole ma su qualcosa che ci appassiona in modo totale, semmai su ciò che sta all’origine della loro nascita, sulla passione per qualcosa di valore che si conosce e si vuole difendere e che è corrispondente ai nostri desideri più veri di felicità, giustizia, bellezza e verità. Io sono cristiano e mi è stato insegnato che la legge (intesa come osservanza di norme) da sé non giustifica e ha in sé la sua maledizione poiché nessuno è in grado di osservarla fino in fondo. Con Cristo l’ultima parola non è più la giustizia che viene dall’osservanza della legge, ma la misericordia che vince il peccato e il proprio male, che è donata al di là dei propri meriti.

Se da soli si tocca di continuo il proprio limite, il passo successivo è cercare un amico per aiutarsi ad andare a questa origine. Il mettersi insieme su qualcosa che originariamente ci unisce è un antidoto forte alla diffusione di una cultura dell’indifferenza e del menefreghismo. L’individuo reso isolato dal potere alla fine si deprime o finisce per accettare la logica del “meglio rossi che morti” o del “franza o spagna purchè se magna”, dove oggi ai rossi, alla Francia e alla Spagna possiamo sostituire la mafia o i poteri forti o anche un opinione “politically correct” dominante.

Sul secondo punto una veloce considerazione. Mi sembra che prevalga oggi in tutti e tre gli ambiti citati, proprio mentre “la casa brucia”, un atteggiamento non centrato sulla propria specifica vocazione originaria, cioè sull’interesse che a suo tempo ha originato il mettersi insieme. I partiti sono in gran parte gusci vuoti dove più che dare spazio ai contenuti, si accentuano le contrapposizioni e gli attacchi personali, e si punta in primis a delegittimare l’avversario politico, atteggiamento che fino a poco tempo fa era ristretto alla campagna elettorale, ma che ora è quotidiano. Le associazioni imprenditoriali hanno imparato bene dai sindacati e ora vogliono sostituirsi alla politica nella guida dell’economia. Sarebbe interessante se queste organizzazioni favorissero al proprio interno la creazione di spazi di rapporti liberi e non formali tra imprenditori per un confronto reciproco, perché quando la posta in gioco è grossa, poichè tocca la continuità dell’azienda, di chi ci lavora e della propria famiglia, bisogna uscire dalla solitudine. Un lavoro interessante da questo punto di vista sta facendo Compagnia delle Opere con i suoi “raggi” moltiplicati sul territorio.

Il mondo ecclesiale ultimamente trova molti consensi quando parla di legalità, ma qual’ è la vera utilità in termini di evangelizzazione? Sicuramente si tratta di iniziative più accattivanti e per certi versi più interessanti delle omelie domenicali, anche perché spesso appaltate a sacerdoti di altre “chiese” o perché in grado di indicare persone capaci di vivere in modo eroico il senso civico. Si tratta di richiami di natura civica anche corretti e condivisibili che però, proprio perché vanno bene per il cristiano e per il non cristiano, non credo portino una persona in più in chiesa o ai sacramenti. Vedo un punto critico in tutto questo. La Chiesa è capace di tenere insieme la gente – anche se meno di un tempo – intorno all’osservanza delle buone regole, ma se questa osservanza è sganciata dalla fede e si poggia sulla buona educazione, si finisce prima o poi per fare l’interesse del potere, politico ed economico, cui sta benissimo che esista una forza sociale capace di tenere unita la gente su alcuni valori, accentuandone ora uno ora l’altro.

In sintesi: il problema è reale, la denuncia giusta ma non basta il richiamo moralistico a parlare e a denunciare: la soluzione sta nel formare l’uomo. Cosa dà consistenza ultima alla mia vita, al punto che posso liberamente prendere in considerazione di perderla per un bene più grande? Credo occorra sentire una presenza amica al proprio fianco, quello che si può chiamare esperienza della contemporaneità di Cristo, che faceva dire a san Paolo: “ Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.” E’una capacità che viene donata.

Per chi ha interesse a capire di più questa contemporaneità di Cristo e il rischio di ispirarsi ai valori portati dal cristianesimo a prescindere dal fatto che Cristo sia risorto, propongo l’ìncontro pubblico promosso a Legnano da Comunione e Liberazione, sabato 16 aprile alle 18 e 15  nell’Auditorium dell’Istituto Tirinnanzi, in Via Abruzzi a Legnano. Grazie per l’ospitalità e mi scuso per la lunghezza.

Ivo Paiusco

P.S. Una proposta per qualche volonteroso: riprendere il libro di G.Bardy, “La conversione al cristianesimo nei primi secoli” per vedere come fu possibile ai cristiani evangelizzare da zero il mondo romano partendo da situazioni certo socialmente peggiori di quelle odierne (si veda solamente la pratica della schiavitù), o leggere il testamento del martire pakistano Shahbaz Bhatti.

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