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La Shoah nello sport

In occasione della Giornata della Memoria, il 27 gennaio, Margherita Giromini narra due vicende che hanno coinvolto sportivi vittima delle persecuzioni nazifasciste: Leone Efrati e Raffaele Jaffe

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La Shoah dello sport è stata studiata poco ma da quanto sappiamo ci vengono confermati, se ce ne fosse bisogno, l’insensatezza, la crudeltà e l’orrore del nazifascismo che ogni anno ci troviamo a rivivere nella Giornata della Memoria.
Tanto furono travolgenti e totalizzanti le persecuzioni nei confronti di ebrei, sinti, antifascisti e oppositori politici che il dramma della Shoah non cessa di inquietarci e di rafforzare, alla luce di ogni nuovo approfondimento storico, la volontà di non dimenticare mai il periodo più buio del Novecento.

Con l’emanazione delle leggi razziali fasciste e pochi anni dopo con la nascita della Repubblica Sociale Italiana, il fenomeno del razzismo nel mondo dello sport acquisì anche in Italia una dimensione violenta e aberrante. Nel 1938 si assistette a un “salto di qualità” con l’acuirsi dell’antisemitismo in ogni piega della società.
Su ispirazione di un gruppo di intellettuali fascisti si teorizzò che gli ebrei non appartenevano alla “razza” italiana poiché non potevano essere considerati italiani coloro che non si erano assimilabili alla cultura del nostro Paese a causa della loro lontananza dagli autentici caratteri dell’italianità.

Uno tra i primi firmatari fu il medico Nicola Pende, l’uomo che due anni dopo sarebbe stato chiamato a dirigere l’Accademia d’Educazione Fisica al Foro Mussolini, l’istituzione che doveva forgiare non solo fisicamente l’uomo nuovo del regime formato agli ideali della mistica fascista. La pulizia razziale entrò violentemente nello sport allontanando dall’Accademia tutti gli allievi “non ariani”. La scure antisemita si abbatté anche sulle ragazze.
Negli anni della guerra furono numerosi gli sportivi che subirono la persecuzione nazifascista.

Come Leone Efrati (foto in apertura), il più noto dei pugili del Ghetto, nel corso della sua esperienza professionistica aveva sostenuto ben 49 incontri. Nel 1938, rientrato in Italia dopo aver combattuto in Francia e in America, fu costretto dal regime a ritirarsi dal pugilato.
Durante l’occupazione nazista per qualche tempo trovò scampo in un convento ma finì deportato ad Auschwitz-Birkenau col fratello Marco e la sorella Costanza. Leone, detto “Lelletto”, per sopravvivere e svagare i suoi aguzzini, si vide costretto a continuare a boxare pure nell’inferno del lager ma finì ugualmente nei forni crematori.

Da ultimo, ma non ultimo purtroppo, finì i suoi giorni nel lager di Auschwitz Raffaele Jaffe, astigiano, che nel 1909 aveva fondato il Football Club Casale di cui fu per molti anni presidente. Era stato anche consigliere federale della Figc. Per vendicare la morte di un ufficiale della RSI, i fascisti della squadra “Balilla nera” di Asti avevano condotto diversi assalti contro gli ebrei.
Nell’aprile del 1944 toccò a Jaffe essere arrestato e deportato.

L’elenco dei perseguitati nel mondo dello sport è molto lungo, i drammi tanti, le vite spezzate troppe. Le ingiustizie infinite.
A noi resta la consolazione che ai nostri giorni lo sport è senza alcun dubbio strumento di pace, mezzo di condivisione di valori democratici, laboratorio di accoglienza della diversità comunque si manifesti, via privilegiata per l’inclusione e la crescita personale e sociale dell’individuo.
Sport per tutti è l’indicatore privilegiato dell’impegno per la società della UISP.

Margherita Giromini
Socia Uisp e presidente uscente dell’Istituto Calogero Marrone

SPECIALE UISP – Tutti gli articoli di VareseNews

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Pubblicato il 22 Gennaio 2025
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