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FESTA TRICOLORE: TROPPE CRITICHE A PRIORI E TANTI PREGIUDIZI

27 Febbraio 2011

Egr. Direttore,il Suo giornale on line, che leggo quotidianamente, rappresenta un occhio attento a tutto quel che accade in cittá e dintorni e attua una sorta di equa  e stabile ‘par condicio’ lasciando spazio di espressione a tutti, peculiaritá per le quali ci si può solo complimentare con Lei e i Suoi collaboratori. Spesso offre anche spunti per riflessioni personali; il tema dei festeggiamenti in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia è stato per me uno di questi spunti.

Da che si è iniziato a parlare di questo anniversario sento solo cose che mi sembrano retoriche e demagogiche e che stridono abbastanza con quel che sta accadendo nel nostro Paese.

Mi sono domandata, senza chiamarmi fuori da questa autocritica, che razza di festa possa percepire la gente in un clima dove, più che cercare e valorizzare ciò che unisce, si accentua ciò che divide, dove il bene comune riempie la bocca di tanti, ma in ben pochi poi lo cercano e lavorano per costruirlo e preservarlo. È una festa estranea ai più, chiedete in giro.

Allora ho cercato di andare oltre, di fare un passo avanti e di cercare il positivo che può comunque nascere da questa occasione. Mi sono chiesta quindi quale possa essere la sfida che l'unitá d'Italia lancia al nostro Paese.

Innanzitutto credo che l'unità sia sempre un bene per tutti, in qualunque ambito della vita si manifesti; la divisione e le spaccature infatti, a mio parere, non portano mai da nessuna parte e non costruiscono niente.

Penso anche che la difficoltà nel proporre e nell'accogliere occasioni di memoria dedicati all'unitá d'Italia che coinvolgano la gente nasca dall'impossibilitá ad immedesimarsi in un ideale che oggi non è più vissuto e affermato come un bene: l'unità di un popolo che ha le sue radici nell'unitá della persona, nella coscienza di appartenere tutti ad una storia che non abbiamo costruito noi, ma che ci precede e della quale anche noi, che ci piaccia o no, facciamo parte.  Una storia che il senso religioso degli italiani – e della maggior parte dei Paesi europei – ha vissuto nella forma compiuta del cristianesimo di cui è intessuta la cultura, l'arte, l'operositá, la vita sociale di tutta la storia dell'Occidente, con buona pace dell'Unione Europea che questo ha censurato e continua a censurare, ma che resta un fatto storico.

Di conseguenza è molto più comodo criticare per quel che in termini di iniziative per questa ricorrenza non è stato fatto (… certe volte persino a priori, atteggiamento che ha un nome preciso: pre-giudizio), piuttosto che misurarsi con proposte che siano a questo livello della questione, senza perdere tempo in sterili polemiche.

Ci si scandalizza del fatto che molti giovani non ricordino i fatti storici che hanno portato all'unitá d'Italia e che non conoscano neppure i più elementari concetti di educazione civica, o ne siano addirittura infastiditi quando glieli si spiega, e non si pensa che l'emergenza più grande che la questione giovanile pone agli adulti e a tutta la società è proprio quella educativa. Senza educazione non c'è maturità di coscienza personale e di popolo, nè tantomeno quella di nazione, che nelle prime due ha le sue radici. Secondo me è proprio da qui che bisogna ripartire.

Quindi ben vengano i festeggiamenti, che siano fuochi d'artificio, gran galá, iniziative di scuole e associazioni o altro, ma cerchiamo di farlo con questa consapevolezza, altrimenti passato il 17 marzo, tutto tornerá come prima e la possibile sfida lanciata dalla memoria dei 150  dell'unitá d'Italia sará solo un'altra ‘menata retorica’ in attesa, forse, dell'anniversario dei 200 anni.

Daniela Colombo 

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