Celle chiuse: gli operatori penitenziari lanciano un allarme e un appello
Tra i firmati di una lettera alle competenti sedi politico-istituzionali, Gabriella Lazzati, legnanese, con un passato professionale di preside dell'Istituto comprensivo Manzoni e attualmente consacrata nell'Ordo Virginum, attiva nel carcere milanese di San Vittore
La permanenza forzata delle persone detenute all’interno delle celle per venti-ventidue ore al giorno è la ragione che ha indotto i cappellani e le religiose operanti negli istituti penitenziari della Lombardia a prendere posizione sulla recente circolare che limita a tre sole fattispecie la possibilità di uscire dalle celle per i detenuti in media sicurezza, cioè la maggior parte della popolazione detenuta.
Il grave segnale di allarme nei confronti di un recente provvedimento a firma del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è contenuto in una lettera, tra le cui firme troviamo quella di don Roberto Mozzi, cappellano di San Vittore, ma anche quella di Gabriella Lazzati, legnanese, con un passato professionale di preside dell’Istituto comprensivo Manzoni e attualmente consacrata nell’Ordo Virginum, attiva nello stesso carcere milanese.
La possibilità di uscire dalle celle può avvenire solo per tre ragioni: la fruizione della socialità in appositi locali comuni, la permanenza all’aria aperta e la partecipazione ad attività trattamentali. Da qui una prima conclusione del messaggio degli operatori penitenziari: «Considerando che i locali di socialità sono pochi e di ridotta capienza, che le ore destinate alla permanenza all’aria aperta sono contingentate in ragione di turni dovuti al sovraffollamento e soprattutto che le attività trattamentali sono poche rispetto al numero delle persone detenute e in alcuni istituti persino inesistenti, la conseguenza di tale provvedimento nella maggioranza degli istituti lombardi è stata la seguente: la permanenza forzata delle persone detenute all’interno delle celle per venti/ventidue ore al giorno».
Le motivazioni dell’allarme sono racchiuse nelle seguenti motivazioni:
– La circolare, non tanto nelle intenzioni (che prevedono e auspicano una riorganizzazione più efficiente ed efficace del carcere e una maggior attenzione all’individualità del detenuto), ma nell’attuazione (che si è limitata alla chiusura delle celle), va in direzione contraria a quanto espressamente indicato nel 2013 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella cosiddetta “sentenza Torreggiani” (Corte Europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, Causa Torreggiani e altri c. Italia, 8 gennaio 2013 – Ricorsi nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10), con cui l’Italia è stata condannata per la violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, ovvero per trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti. Il sovraffollamento delle carceri unito alla mancanza di spazio per la vita quotidiana dei detenuti furono allora gli elementi determinanti per questo giudizio (65.701 detenuti per 47.040 posti disponibili, al 31/12/2012 – Fonte: Ministero della Giustizia – Statistiche – Detenuti presenti – aggiornamento al 31 dicembre 2012) e ora si ripresentano in modo analogo (60.166 detenuti, per 51.179 posti disponibili, al 31/12/2023 – Fonte: Ministero della Giustizia – Statistiche – Detenuti presenti – aggiornamento al 31 dicembre 2023), con un tasso di crescita in costante incremento. Per far fronte agli obblighi imposti dalla Corte Europea, l’Amministrazione Penitenziaria intervenne, nei circuiti della bassa e media sicurezza, con l’apertura delle celle in alcune ore diurne e con l’introduzione della cosiddetta “sorveglianza dinamica”. Oggi, di fronte al riprodursi progressivo di analoghe condizioni, si risponde con provvedimenti che anziché rimuovere i fattori di criticità, li aggravano, in aperta contraddizione con quanto indicato dalla Corte Europea ed esponendo nuovamente l’Italia a prevedibili ulteriori sentenze di condanna e a conseguenti obblighi risarcitori.
– La circolare citata prevede la possibilità per le persone detenute di usufruire di un incremento di attività che consentirebbero l’uscita dalla cella; ci si domanda quanto questa indicazione risponda a una concreta progettualità o sia soltanto un auspicio astratto, per controbilanciare in linea di principio il nuovo regime di chiusura. A questa domanda risponde in modo inequivocabile la quantità di fondi destinati alle attività trattamentali. Ci si chiede se questo provvedimento abbia avuto una copertura finanziaria che lo renda praticabile, ovvero se sono aumentati in modo significativo i fondi destinati alle attività. Considerando che tra la pubblicazione della circolare e la sua effettiva applicazione è passato più di un anno, basta osservare la variazione delle attività trattamentali di questi mesi per avere una risposta, che tutti possono constatare negativa. A conferma di questo, in questo ultimo anno le direzioni dei singoli istituti si sono trovate costrette a sollecitare le associazioni di volontariato, perché si attivassero nell’organizzazione di nuove attività, per prepararsi alla chiusura delle celle, benché non sia in prima istanza competenza del volontariato l’organizzazione e l’attuazione del piano trattamentale.
– Il provvedimento sembra ignorare una delle principali problematiche all’interno delle carceri italiane, ovvero l’altissima presenza di persone con patologie psichiatriche, che, dall’aumento delle ore a regime di chiusura, non possono che avere un peggioramento del loro stato di salute, con prevedibili conseguenze sul versante della sicurezza e della convivenza all’interno delle celle. La circolare evita altresì di prendere in considerazione l’aumento dei suicidi in carcere negli ultimi due anni (57 nel 2021, 84 nel 2022, 68 nel 2023 – Fonte 2021-2022: Ministero della Giustizia – Statistiche – Eventi critici negli istituti penitenziari – Anni 1992 – 2022; fonte 2023: Ristretti Orizzonti (ristretti.org), che, in molte occasioni riguardano proprio persone con patologie psichiatriche. La chiusura delle celle non è sicuramente di aiuto nella cura della malattia mentale e nella prevenzione del suicidio.
Alla luce di queste considerazioni, ecco così l’appello alle competenti sedi politico-istituzionali «di valutare con urgenza possibili disposizioni volte a modificare la situazione attuale e, in particolare finalizzate a ripristinare l’apertura diurna delle celle nel circuito della media sicurezza e a destinare adeguati fondi per dare attuazione all’auspicato potenziamento delle attività trattamentali. Assicurando che i cappellani e le religiose continueranno a sostenere, come già fanno, ogni progetto in questa direzione. Offriamo queste nostre riflessioni a tutti coloro che operano nel settore penitenziario, perché si possa sempre lavorare insieme nella proposta e nella costruzione di soluzioni migliorative».
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