Ci informeremo tutti su TikTok?
Probabilmente no ma chi storce il naso sbaglia. L'informazione di qualità sa adattarsi ai linguaggi e alle piattaforme e riesce così a raggiungere anche i giovanissimi. Il caso di Will Media
«Lo ha detto la televisione» è una frase destinata a finire nel dimenticatoio. Eppure per la generazione dei più “grandi” ancora oggi la gerarchia e l’autorevolezza delle notizie sono quelle stabilite dalla scaletta dei telegiornali o dei quotidiani, che siano essi cartacei o digitali. Se invece provassimo a chiedere a un gruppo di ventenni, quali sono le notizie del giorno, la risposta potrebbe essere la medesima dei loro nonni anche se nessuno di loro molto probabilmente ha mai guardato un Tg. Anzi, con buona probabilità nemmeno la home di un quotidiano. L’informazione arriva comunque alle nuove generazioni – che su alcune tematiche come l’ambiente, la società, la cultura della tutela della diversità, sono spesso molto più consapevoli – ma arriva da canali completamente diversi e questo non significa necessariamente che sia di qualità inferiore.
Sono sempre di più le voci del panorama giornalistico che hanno compreso che per raggiungere il pubblico emergente occorre essere presenti dove lo sono loro. Sembra banale ma è un po’ come scegliere di frequentare i locali di chi vogliamo incontrare, se riteniamo che questo abbia un valore. Questo implica entrare in sintonia, capire il linguaggio (nel senso più ampio) del termine e farlo proprio. No, non serve usare “Ehi bro” per raccontare ciò che succede nel mondo, è un discorso molto più ampio. Tra le realtà dell’informazione che meglio ci sono riuscite emerge sicuramente Will Media che per le generazioni dei Millenial e della Gen Z è diventata un punto di riferimento per la sua capacità di essere presente sui social più usati, come Instagram e TikTok. «Sono le fasce di popolazione a cui ci dedichiamo in particolare – spiega Francesco Zaffarano, head of content di Will -. Persone per cui l’accesso alle notizie avviene sempre meno attraverso siti e applicazioni proprietarie delle testate ma sempre di più attraverso i social e che abitualmente sono portate a informarsi all’interno di questi canali».
Per molto tempo infatti, il dibattito sul rapporto tra i social network e la stampa si è concentrato su Facebbok (e su Twitter), dove le varie testate tendono, con modalità diverse, a pubblicare i link dei propri articoli per portare traffico sui rispettivi siti. I giovanissimi però su Facebook non ci sono. «Il pubblico a cui ci riferiamo – e qui sta uno dei primi aspetti del grande cambiamento – richiede invece che i contenuti restino sulla piattaforma. Per questo il nostro lavoro e la sfida o missione che ci poniamo è quello di tradurre quelle che sono le notizie più rilevanti in modo da renderle comprensibili e accessibili come richiede il linguaggio di questi canali. Nella quotidianità noi facciamo un lavoro giornalistico a tutti gli effetti, non facciamo il classico reporting o gli aggiornamenti dell’ultim’ora e non abbiamo inviati, facciamo un lavoro diverso ma che comunque segue gli stessi principi di accuratezza, attendibilità, verifica delle fonti e confronto con gli esperti»
Semplicità e banalità non sono sinonimi. «Quello della banalità è un pregiudizio difficile da scardinare, con cui si scontra chi cerca una chiarezza e semplicità del linguaggio. C’è l’ossessione della superficialità perché i video sui social sono brevi ma ci si dimentica che la durata media di un servizio del telegiornale è di un minuto e mezzo. I contenuti che proponiamo hanno le stesse caratteristiche di un servizio di approfondimento classico, anzi c’è un lavoro maggiore per ricercare un linguaggio che non sia da addetti ai lavori ma che davvero faccia capire quello che sta accadendo anche a chi, ad esempio per questioni anagrafiche, non conosce il pregresso o non segue le breaking news. Il giornalismo tradizionale spesso perde pubblico perché si dimentica di questo aspetto». Su Will non troviamo un flusso continuo di aggiornamenti ma una selezione accurata (e ristretta) di contenuti. Scegliere che cosa è importante in un contesto costellato da miliardi di informazioni, è oggi l’essenza del ruolo del giornalismo: «Nel nostro caso la scelta editoriale è quella di fare un passo indietro e scegliere quali sono i contenuti che riteniamo più importanti e trovare il modo di raccontarli bene».
Will è presente su diverse piattaforme che vanno da TikTok e Instagram dove funzionano i video verticali a Telegram e Whatsapp dove l’informazione deve assumere le caratteristiche della messaggistica, fino ai podcast dove il racconto passa dal suono della voce. La parola scritta quindi non perde di significato a discapito dell’immagine ma si modella in base al linguaggio che meglio può prestarsi alla narrazione.
È uno sforzo continuo che però ripaga: «Riteniamo che Will – conclude Zaffarano – sia una modalità di raccontare il mondo diversa e non a caso abbiamo anche un modello di business diversi. Lavoriamo ad esempio con le aziende per creare del branded content, non una comune pubblicità o un racconto di un prodotto ma una comunicazione valoriale che abbracci nostri temi e principi, che sono le direttrici su cui ci muoviamo. I clienti che si riconoscono e praticano questi valori vengono da noi perché sono interessati a posizionarsi in un certo tipo di racconto. Ultimamente abbiamo scelto un’ulteriore modalità per finanziarci che è ancora un unicum nel panorama dell’informazione, ossia una membership che permettere a chi ci segue di mantenere e sostenere il nostro lavoro. Diciamo loro “Sostienici come puoi” perché è questo che ci permette di fare il nostro lavoro e in più, per chi ci sostiene, abbiamo realizzato dei contenuti extra».
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Di questi temi parleremo a Festival Glocal nel panel “Il giornalismo sui social network”, in programma il 9 novembre alle 16.30 al Salone Estense di Varese. Qui i dettagli
Foto Pixabay
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