Omicidio di Carol Maltesi, la Procura chiede l’ergastolo con due anni di isolamento diurno per Fontana
Alla richiesta di pena della Procura si sono associate le parti civili, che hanno chiesto complessivamente risarcimenti per 3,8 milioni di euro
La Procura della Repubblica di Busto Arsizio ha chiesto la condanna all’ergastolo con due anni di isolamento diurno e totale per Davide Fontana, il 43enne che ha confessato di aver ucciso Carol Maltesi, sua ex compagna e vicina di casa, e di averne poi fatto a pezzi il cadavere.
In aula il pubblico ministero nella sua requisitoria – arrivata a valle dei chiarimenti resi in aula dalla psichiatra e psicoterapeuta Maura Bertini, la cui perizia ha stabilito la capacità di intendere e di volere dell’imputato – è tornato sul «percorso articolato, complesso, lungo, difficoltoso, reso solo apparentemente meno arduo dalle confessioni» che hanno attraversato le indagini. Il sostituto procuratore Carlo Alberto Lafiandra si è soffermato soprattutto sulle ultime battute della relazione tra Davide Fontana e Carol Maltesi, quando la 26enne era ormai sempre più proiettata verso Praga per la sua attività professionale nel mondo della pornografia e verso il Veronese per poter seguire il figlio di sei anni.
Fino ad arrivare alla «costruzione del vero e proprio set dove il delitto è stato perpetrato», un video a luci rosse girato sulla base delle indicazioni fornite da un sedicente cliente che si è poi rivelato essere lo stesso imputato sotto mentite spoglie: video per il quale lo stesso committente aveva fornito una «descrizione minuziosa della trama» che prevedeva l’immobilizzazione della vittima in modo più marcato di quanto avvenuto nel filmati richiesti fino ad allora, con un «bavaglio più efficace», senza parole di sicurezza che potessero consentire alla vittima di interrompere la registrazione.
Il pubblico ministero si è soffermato soprattutto sulla circostanza che in base alla trama pensata per il video Carol Maltesi avrebbe dovuto essere «privata del telefono cellulare e obbligata a rivelare il codice di sblocco», codice che poi l’imputato, qualche ora dopo l’omicidio, ha appuntato sul proprio smartphone, senza mai fornire «risposte convincenti» rispetto al gesto, riconducibile secondo la Procura alla volontà di Fontana di prendere tempo per la distruzione e l’occultamento del cadavere.
Sempre alla necessità di prendere tempo, peraltro, per il sostituto procuratore Lafiandra sarebbero da attribuire le scelte di Fontana di rivelare, subito dopo l’omicidio, la sua positività al Covid fingendosi Carol Maltesi, così come quella di tentare di rimuovere i tatuaggi della vittima e di ordinare un congelatore a pozzetto – simulando la provenienza della richiesta dalla vittima – dove ne avrebbe poi conservato i resti. «La logica deduttiva – ha sostenuto in aula il pubblico ministero – porta a presumere che Fontana fosse assolutamente lucido e consapevole di ciò che aveva fatto perché ha programmato fin dall’inizio quelli che sarebbero stati i passaggi successivi».
A smentire la ricostruzione di un delitto d’impeto alla quale si è appellata la difesa, inoltre, per la Procura ci sarebbe il tempo trascorso tra la telefonata intercorsa tra la 26enne e il padre di suo figlio – indicata dai legali di Fontana come il possibile elemento scatenante dell’omicidio – e le successive operazioni di imbavagliamento e immobilizzazione di Carol Maltesi ai fini della ripresa della registrazione: ci sarebbe stato, insomma, il cosiddetto tempo di raffreddamento a differenza di quanto avviene di solito nei delitti d’impeto.
Oltre alla relazione affettiva, alla premeditazione, ai futili motivi e alla minorata difesa, peraltro, la pubblica accusa ha ribadito in aula la sussistenza dell’aggravante della crudeltà: i 13 colpi inferti alla vittima, che le hanno provocato altrettante «fratture della teca cranica» e «un’infiltrazione emorragica», da soli non sarebbero bastati – se non dopo «molte ore senza soccorso» – ad uccidere Carol Maltesi, morta invece per il successivo sgozzamento. «I colpi di martello acquisiscono una valenza ultronea e costituiscono sofferenza ulteriore determinata nella vittima ma non necessaria ai fini della morte – ha sottolineato il pubblico ministero -: legata, imbavagliata, senza possibilità di vedere cosa stesse accadendo, di vedere assalitore negli occhi, di poter chiedere aiuto e di invocare la sua pietà. Patimenti gratuiti che hanno reso particolarmente riprovevole la condotta del reo».
Alla richiesta di pena formulata dal sostituto procuratore Lafiandra si sono associate quelle delle parti civili, i cui legali, sottolineando le sofferenze inferte dal delitto ai genitori della 26enne, a suo figlio e al padre del bambino, hanno chiesto anche un risarcimento di 2 milioni di euro a favore del piccolo, di 800mila euro per l’ex compagno della donna e di 500mila euro per ciascuno dei genitori.
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