Dopo cinque aste deserte arriva l’offerta, venduta la ex Rimoldi Necchi di Busto Garolfo
Fino ad oggi più che il prezzo a pesare contro il passaggio di mano della ex Rimoldi Necchi aveva pesato l'incognita sui costi di bonifica dei terreni
Buona la sesta. La ex Rimoldi Necchi di Busto Garolfo è stata aggiudicata all’asta: questa volta la fatidica busta – quella busta della quale finora sulla scrivania del delegato alla vendita non si era vista nemmeno l’ombra – è arrivata, e l’area di via Montebello che per decenni ha ospitato l’allora colosso mondiale delle macchine per cucire ha finalmente trovato un nuovo proprietario.
I quattro capannoni e i tre terreni che appartengono al complesso industriale, il cui stato di conservazione lascia purtroppo a desiderare, negli anni erano già stati al centro di cinque esperimenti d’asta. Il primo a fine luglio 2020, quando si era partiti da una base di 1,6 milioni di euro. Il secondo a febbraio dello scorso anno, con un prezzo ribassato di oltre 300mila euro. Poi a luglio 2021, con ulteriore “sconto” da più di 250mila euro, e a febbraio scorso, con un taglio sulla spesa necessaria di altri 200mila euro. E infine a giugno, con un ribasso di altri 150mila euro circa. In tutti e cinque i casi, però, all’apertura delle buste non ci si era nemmeno arrivati, perché nessun potenziale acquirente si era fatto avanti.
Così il Tribunale di Busto Arsizio nei mesi scorsi ci aveva riprovato con un nuovo ribasso da circa 50mila euro che aveva portato il prezzo base a 600mila euro, anche se l’avviso di vendita dava comunque la possibilità di presentare offerte a partire da un minimo di 450mila euro, cifra già valevole di aggiudicazione qualora non ce ne fossero state altre, non fossero state presentate istanze di assegnazione e non si fosse profilata nemmeno una «seria possibilità di conseguire un prezzo superiore con una nuova vendita».
Fino ad oggi, peraltro, più che il prezzo a pesare contro il passaggio di mano della ex Rimoldi Necchi è stata l’incognita relativa ai costi di bonifica dei terreni. L’area occupata dalla fabbrica, infatti, ormai da decenni, a corrente alternata, è al centro di polemiche legate all’inquinamento ed allo smaltimento dei rifiuti, tra provvedimenti del Comune per la bonifica dei terreni ed interventi da parte dell’autorità giudiziaria. Tanto che nel 2021 il comune aveva deciso di affidare una consulenza stragiudiziale ad un legale esperto in materia ambientale per prendere una volta per tutte i provvedimenti necessari a sbrogliare la matassa che ruota intorno al complesso industriale, che negli anni si è fatta sempre più intricata per i diversi passaggi di proprietà che ci sono stati.
Proprio nell’ambito delle operazioni di bonifica nel complesso industriale nei mesi scorsi sono state avviate le attività di caratterizzazione in contraddittorio con ARPA. A seguito degli scavi effettuati per verificare le condizioni del sottosuolo l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente aveva rilevato «la presenza di terreno frammisto a materiale di origine antropica costituito da mattoni, metallo, stracci e plastica ed a profondità maggiore […] la presenza di frammenti di fusti in ferro ammalorati, di cui uno con “crosta” di colore giallastro e un altro su cui era riportata la scritta “cianuro di sodio”». Visto il «pericolo concreto di contaminazione», quindi, ARPA aveva chiesto la messa in sicurezza immediata dell’area e di procedere alla classificazione merceologica di quanto era stato rinvenuto, e per evitare «rischi di qualsiasi natura» la prima cittadina aveva deciso di emanare un’ordinanza intimando alla proprietà di provvedere a tutte le operazioni necessarie.
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