Cristiana Barbatelli, da imprenditrice a volontaria a Shanghai: “Supereremo il lockdown e la crisi”
La manager italiana racconta la vita attuale delle persone nella metropoli cinese completamente chiusa. Riflette da un osservatorio molto competente come sarà l'economia per le aziende italiane che lavorano in Cina
La situazione a Shanghai è molto critica e si sente sempre più spesso parlare di proteste e problemi. Nei giorni scorsi abbiamo sentito Greta Bianchi che ci ha raccontato la sua storia. Ora siamo tornati a contattare Cristiana Barbatelli che lavora e vive in Cina da oltre 37 anni ed è socia e amministratore di due aziende, una di consulenza di direzione e una di comunicazione digitale, entrambe participate dal Gruppo Ambrosetti. Ha un forte legame con Varese dove risiede parte della sua famiglia.
L’avevamo intervistata due anni fa quando il covid sembrava fosse ancora un problema solo cinese. Ora ci racconta la sua esperienza e il suo punto di vista anche da volontaria a Shanghai.
«La situazione di “chiusura” della città – racconta Cristiana – è iniziata a metà marzo. Alcune aree industriali e zone residenziali nella periferia di Shanghai sono state isolate preventivamente in modo definito “dinamico” dal 11 di Marzo. La strategia dinamica prevedeva una chiusura ed una riapertura di tutte quelle zone che riscontrassero casi positivi di COVID . Il meccanismo prevedeva che una volta identificato un caso (o un sospetto caso, o un contatto con un caso confermato) si passava all’isolamento del palazzo, o del complesso residenziale o dell’area industriale. Seguivano test per tutti i residenti o operatori dell’area, quartiere di appartenenza. Fino all’ultima settimana di marzo la gestione della pandemia Covid con la variante Omicron ha seguito questa strategia».
Questo sistema così stretto ha causato problemi?
«A livello lavorativo questo metodo aveva creato qualche situazione critica perché le persone che venivano isolate, venivano chiamate anche sul luogo del lavoro e dovevano immediatamente recarsi presso lo stesso indirizzo per essere “testate”. Un metodo dinamico anche se naturalmente lasciava spazio a incertezze e un po’ di angoscia e preoccupazione».
Cos’è che non è andato bene allora?
«Più volte era stato affermato pubblicamente che nessun “lockdown” totale sarebbe stato implementato. Ma quando i casi positivi (sintomatici o no non fa grande differenza) sono aumentati, la città di fatto è stata “isolata “. Pertanto dal 24 Marzo prima con la chiusura della parte a est dello Huangpu, e a seguire dal 1 Aprile la parte a ovest, la città è stata “spenta”. Banche, comunicazioni, uffici pubblici, il porto, zone industriali, complessi residenziali, negozi e centri commerciali, autostrade di accesso, linee della metropolitana, sono state chiuse. Ad oggi è ancora cosi. Ho sentito che alcuni palazzi o piccolo complessi residenziali sono stati riaperti ma con molte restrizioni deambulatorie».
Tu come stai vivendo questa condizione?
«Io mi sono offerta come volontaria della mia comunità. Ho ricevuto un training su modalità e regole da rispettare e far rispettare, attenzioni sanitarie da esercitare, in particolare riguardo all’assistenza durante i test ai residenti. Interessante pensare che le attività di testing sono sempre monitorate e poi registrate su applicazioni digitali specifiche. In particolare due applicazioni per i PCR test ed una per “caricare” i risultati del test antigenico. Le applicazioni sono naturalmente legate ai dati identificativi di ciascuno e dunque i risultati che vengono “caricati” costituiscono il “record” di ogni residente. È facile immaginare come sia complesso per le persone anziane seguire e implementare questi requisiti “informatici”. Pertanto una buona parte dell’attività dei volontari come me prevede la preparazione per le persone più anziane aiutandole a “rispettare” questi requisiti. Altre attività che mi sono demandate sono la consegna dei pacchi che le persone possano ricevere (si tratta di pacchi che contengono alimenti e altri beni di prima necessità) e la raccolta dell’immondizia, che viene ritirata davanti a ciascuna porta e accumulata di fronte al portone del palazzo. Lavori semplici ma importanti per il bene di tutti. Mi piace fare queste attività e mi danno una grande soddisfazione perché vedo che possono essere utili. Inoltre mi fanno sentire parte della comunità. Sono una di loro, a tutti gli effetti».
Come stanno le persone di queste comunità?
«Il tema più delicato che riscontro in queste giornate è la gestione delle comunicazioni, dai comitati di quartiere alle persone e fra le persone stesse. C’e’ sempre una grande emozione quando condividiamo i risultati dei test (che stabiliscono se siamo tutti” salvi” o no) e anche a volte la gestione dei silenzi da parte dei coordinatori dei comitati, silenzi che possono facilmente essere presi per messaggi negativi . Le persone stanno vivendo in una dimensione intima ma anche di condivisione con una micro organizzazione di sopravvivenza. Un esperimento di comunità che assomiglia a volte alle riunioni degli alcolisti anonimi o alle quelle di psicoterapia di Gruppo. Noi siamo fortunati e lo siamo stati fino ad oggi. Nessuno di noi e’ positivo al virus nel nostro complesso residenziale, e dopo 10 test effettuati, siamo ancora sopravvissuti a questo “squid game” emozionale».
Cosa succederà al business con queste restrizioni?
«Mi sto chiedendo e con me se lo chiedono gli imprenditori ed i manager che vivono in questa parte della Cina, come e se cambierà il business nei prossimi mesi e anni. Ammesso che la politica di “tolleranza zero “verso il Covid possa avere successo e che Shanghai riprenda presto a far correre la sua economia, quale sarà l’impatto nel vicino futuro e a medio termine? È evidente che a partire dal 2020, l’economia dell’area ha sofferto per restrizioni sulla circolazione di merci e persone, per l’aumento del costo dei trasporti, e per le improvvise interruzioni nelle catene delle forniture dovute a crisi COVID nei vari paesi e in varie aree della Cina . Oggi con la chiusura effettuata negli ultimi due mesi di città nel Guandong, di Jilin, e più recentemente di Shanghai, a causa dell’insorgenza dei casi di Omicron, è possibile che l’economia cinese possa accusare dei colpi più forti . Il Guandong, Jilin, la grande Shanghai (Zhejiang e Jiangsu) sono infatti aree fortemente industriali che contribuiscono complessivamente al 40% del GDP del Paese. Se la situazione attuale persistesse per altri mesi, gli indicatori di crescita del prodotto interno lordo potrebbero modificarsi contraendosi significativamente (ad oggi la stima annuale del GDP e’ ferma al 6.8%) .
Inoltre le difficoltà nella circolazione delle merci, la diminuita capacità di accesso alla catena di fornitura di vari settori industriali, l’impossibilità in molti casi di poter trasferire i propri manager sul territorio, potrebbero creare un effetto domino su alcuni anelli della stessa, con la chiusura di aziende produttrici o intermediarie di beni industriali e di consumo, la perdita dell’impiego da parte dei lavoratori, e in conseguenza la diminuizione dei consumi e l’inasprimento di regole del mercato».
Molti contestano questa politica della tolleranza zero…
«Se la strategia “Covid tolleranza zero” implementata dal Governo Cinese costringesse il paese, già chiuso verso l’estero dall’inizio della pandemia, ad applicare nuove regole di “sicurezza sanitaria” ancor più restrittive e limitanti, lo svolgimento delle attività economiche ne risentirebbe ampliamente. E di conseguenza queste norme di “mantenimento” del risultato sanitario raggiunto, creerebbero ulteriori disagi e vincoli per lo svolgimento delle attività lavorative e per la conduzione normale dei business aziendali.
“Entrare” in Cina per le aziende estere, è sempre stato relativamente semplice, nonostante le barriere invisibili . Nel futuro le barriere di entrata potrebbero essere elevate (per esempio la possibilità di inviare il proprio personale in Cina, o garantire accesso di beni e componenti, o la possibilità del trasporto di prodotti finite. Potrebbero creare delle sfide più complesse ).
“Rimanere in Cina “ (a volte “sopravvivere in Cina ”) ha rappresentato e rappresenta un obiettivo di non facile raggiungimento per molte aziende sul medio lungo periodo, ma se non si raggiunge questa condizione non è possibile garantire la crescita dell’azienda nei tempi e modi definiti dagli investitori. Ma l’obiettivo finale e ultimo di ogni sforzo imprenditoriale in Cina è “l’accrescimento del valore dell’equity aziendale “. In condizioni post Covid più limitanti, e sotto norme restrittive, che regolamentano il mercato e ne condizionano l’esistenza, o che mettono a repentaglio la catena della fornitura a causa di barriere geo-sanitarie , il raggiungimento di questo obiettivo diverrebbe più complesso e articolato. Le tre fasi della vita delle aziende che hanno investito in Cina rispondono infatti a logiche ed elementi differenti del mercato che si presentano e condizionano la vita azienda in una sequenza che si ripete. In una logica futura di “dopo-Covid” le tre fasi potranno modificarsi, estendendersi o contrarsi. Ma è evidente che l’obiettivo primario, ovvero la crescita del valore aziendale, sarà più complesso da raggiungere e l’azienda dovrà apprendere e rispettare nuove regole del gioco se vuole avere successo su un mercato più articolato e pieno di nuove barriere e condizionamenti».
Come sarà per le nostre aziende italiane?
«A domanda fatta oggi ai manager delle aziende italiane del Gruppo del Salotto (un’iniziativa senza fine di lucro a mia cura, che aggrega su dibattiti culturali ed economici circa 220 manager di aziende italiane presenti in Cina) , se le loro aziende debbano e vogliano restare in questo paese, anche alla luce di fattori economici più complessi , che possono impattare pesantemente sulla crescita delle stesse, le risposte che ho ricevuto sono differenti. Alcuni manager consigliano, nel caso di investimenti nuovi da intraprendere, di rallentare gli stessi ma proseguire con cautela con quelli in corso, e non abbandonare alcuna iniziativa imprenditoriale, e addirittura qualcuno suggerisce di accelerare la crescita nel paese non appena l’economia riprenderà a correre. Mi chiedo quanti dei manager che vivono qui riescano a trasmettere questi pensieri ai loro capi, alle Direzioni Generali delle aziende che stanno facendo investimenti o li hanno già fatti.
L’azzeramento della vita economica di Shanghai, infatti , avvenuta praticamente da un giorno all’altro, situazione che stiamo vivendo in questi giorni, non è certo un elemento positivo di valutazione strategica per chi ha investito e sta investendo su questo mercato. È possibile pertanto che le difficoltà oggettive nei movimenti fisici delle persone, e più recentemente nei movimenti delle merci, nei trasporti generino reazioni di cautela da parte delle aziende, se non addirittura, in alcuni casi reazioni negative . Alcune aziende stanno infatti già guardando ad altri paesi in area asiatica, in modo da poter diversificare la catena delle forniture e di spostare gli hub di ricerca e sviluppo in altre destinazioni.
Pur dovendo ammettere poi che se vuoi avere successo su questo mercato, devi rimanere in Cina e anzi devi radicare la tua presenza ancora di più proprio nei momenti di difficolta’ come l’attuale. Ma alla fine quante aziende rinunceranno al business in questo Paese? Quante aziende spaventate dal più recente approccio “di emergenza sanitaria” decideranno che non vale la pena di entrare su questo mercato e cercare di sviluppare il loro business qui?
Onestamente penso molto poche. Forse solo aziende piccole che risentiranno in modo evidente dell’interruzione del business di questi due (o tre mesi se non addirittura di più) in questa parte della Cina e quelle con conti economici già striminziti che soffriranno in modo significativo per interruzione della loro attività. Ma la maggior parte resterà e addirittura rafforzerà la presenza in Cina (e a Shanghai e nelle zone limitrofe ).
D’altronde come diceva Mao Zedong: “In time of difficulties, we must not lose sight of our achievements”. Ovvero in tempi di difficoltà se hai già raggiunto dei risultati significativi non devi distrarti dall’obiettivo, tenendo in considerazione quanto già ottenuto. Sono certa che molte aziende italiane (specie quelle che hanno successo) ,seguiranno questo approccio pragmatico e positivo.
Anche in questo momento di effettiva grande difficoltà, in questi giorni di lockdown durissimo e quasi draconiano, pensare di restare in questo paese e anzi di fare tesoro di quanto già ottenuto, è una sfida per i manager e per le aziende operanti nel Paese, ed è proprio grazie a questa sfida e prendendone vantaggio, che l’azienda può attuare appieno una strategia vincente per la sua crescita ed il suo successo sul lungo periodo».
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