Morte delle sorelle Agrati, la Procura chiede l’ergastolo per il fratello sopravvissuto all’incendio
Per la pubblica accusa a spingere Giuseppe Agrati ad uccidere sarebbe stato un movente economico. La Procura ha ritenuto «assai poco credibile» l'affetto dell'imputato per le sorelle
Ergastolo con nove mesi di isolamento diurno. È questa la richiesta di pena formulata dalla Procura generale di Milano dopo oltre un’ora di requisitoria alla chiusura del dibattimento nel processo che vede Giuseppe Agrati imputato per il duplice omicidio delle sorelle Carla e Maria, morte nell’incendio divampato nella notte tra il 12 e il 13 aprile 2015 nell’abitazione al civico 33 di via Roma a Cerro Maggiore.
«L’unico scenario possibile vede svilupparsi l’incendio inizialmente al primo piano, necessariamente con la presenza di un accelerante che viene gettato nel disimpegno antistante le camere e il bagno – ha sottolineato in aula il sostituto procuratore generale Maria Speranza Vittoria Mazza -. Il secondo focolaio viene innescato nell’area contatori: Agrati, che si era preparato manomettendo il contatore e causando una perdita di gas, fugge dall’uscita sul cortile interno, verosimilmente appiccando il fuoco anche all’attaccapanni attiguo all’uscita sul cortile – che, guarda caso, era pieno di abiti ammonticchiati, la maggior parte sintetici – per tappare ogni via di fuga alle compagne di appartamento. Si fa quindi trovare dalla vicina mentre sale tranquillamente le scale all’interno del condominio, non come sostiene per dare l’allarme ma solo quando la ragazza si accorge dell’incendio. Le uniche modeste bruciature che ha riportato sono dovute alle manovre pericolose della manomissione del contatore e dell’apertura della porta principale, e non come sostiene lui al tentativo di spegnimento del focolaio con una bacinella, che gli avrebbe provocato ben altra lesione e che comunque non collima con le evidenze dato che la bacinella è stata ritrovata integra nel cortile dello stabile e non bruciata all’interno dell’abitazione come sostenuto nella ricostruzione di Agrati».
Per la pubblica accusa a spingere l’imputato ad uccidere le sorelle sarebbe stato un «movente economico, non contestato dalla versione dell’imputato, che senza la morte delle sorelle non avrebbe ereditato e si sarebbe dovuto accontentare di saltuarie elargizioni o del premio della polizza stipulata a suo favore». «Giuseppe Agrati, e lo dice al nipote Andrea, sapeva che le sorelle avevano fatto testamento e sapeva anche dove lo avevano collocato – ha ribadito alla Corte il procuratore generale -. In dibattimento abbiamo appreso che Carla Agrati, alla morte del fratello Antonio aveva palesato alla vedova l’intenzione di lasciare la propria eredità, che in un primo momento aveva pensato di lasciare proprio ad Antonio, ai figli di lui, escludendo totalmente il fratello Giuseppe. L’imputato poi era anche convinto dell’esistenza di un testamento di Maria Agrati a suo favore, come dimostrato dalla spasmodica ricerca che ne fece nel suo appartamento di Milano, oltretutto opponendosi fermamente alla vendita proprio in ragione della necessità di reperire il testamento».
Con l’incendio al civico 33 di via Roma, secondo la Procura Agrati avrebbe ottenuto «con un solo colpo più risultati a suo favore: impedire a Carla il proposito di lasciare tutto ai propri nipoti, impedire il ritrovamento di un suo testamento a lui sfavorevole, aprire la successione legittima e, per quanto riguarda l’eredità della sorella Maria, ereditare la polizza vita – di modesto ammontare, ma questo Giuseppe non lo sapeva – e aprire la successione testamentaria con il testamento che era convinto Maria avesse fatto a suo favore». La tesi della pubblica accusa è che non basti a scagionarlo l’ipotesi «assai poco credibile» che volesse bene alle sorelle, anche perché «Agrati sapeva di essere considerato poco sano di mente. «Che le abbia avvisate e svegliate non c’è riscontro – ha concluso il sostituto procuratore generale -: non solo non ha svegliato sorelle, ma ha ritardato il più possibile l’allarme, dandolo solo quando non era più evitabile, quando sia in strada sia all’interno dello stabile altre persone si erano accorte di quanto stava succedendo».
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.