“Il SILENZIO GRAFFIANTE” DI AUSCHWITZ
26 Febbraio 2013
Di seguito le riflessioni di di Marina, partecipante al pellegrinaggio nel campo di concentramento di Auschwitz. In una lettera inviata alla redazione la lettrice racconta le emozioni vissute nel campo di concentramento
Sono tornata da Oświęcim. Di solito, al ritorno da un viaggio si ha voglia di mostrare le foto, di raccontare gli aneddoti spiritosi o imbarazzanti, di descrivere le bellezze del paesaggio… Questa volta, no. Nemmeno lo so pronunciare il nome di questa città… Auschwitz. Questo invece sì. Ed è la stessa città. In tanti film, in tanti libri, la vita al di là della scritta “ARBEIT MACHT FREI” è stata raccontata, romanzata, documentata. E io lo sapevo. Credevo di saperla. Ma nemmeno una minima parte di quello che avevo sentito dire mi ha preparato alla mostruosità di quello che ho visto.
La voce commossa e spesso rotta da sincera emozione della guida polacca mi giungeva quasi da lontano. Diceva cose incredibili, attirava la mia attenzione su montagne di capelli umani, di scarpe, di barattoli di veleno vuoti. Mi raccontava di una crudeltà così grande da lasciare dietro di se migliaia di vestiti da neonato e di scarpe di bambini mai cresciuti, mi mostrava muri pieni di foto di uomini tutti con lo stesso sguardo terrorizzato, di donne con gli occhi senza luce e senza capelli, di montagne di cadaveri e di forche. Di muri della morte e di finestre sbarrate o del tutto oscurate per non permettere di vedere le esecuzioni. Di troppo freddo, di troppo caldo e di malattie. E non molto lontano, Birkenau.Un immenso luogo pieno di niente, di un silenzio graffiante, di neve che ricopre ceneri umane, di vento che porta le voci, di betulle spoglie sullo sfondo. Il vento mi soffiava in faccia fiocchi di neve che pungevano gli occhi, ma non potevo chiuderli. Non avevo freddo perché, vergognosamente, avevo scarpe calde e vestiti pesanti ma la sensazione che ho provato era di un freddo interiore che mi obbligava a guardare, addirittura ad immaginare, le righe dei pigiami di coloro che, forse, speravano solo di non vivere più. O avevano già smesso di vivere ancor prima di essere uccisi. Ho affrettato il passo, ho trattenuto il respiro e sono ripassata sotto l’arco dell’edificio d’ingresso. Non mi sono voltata. Ho solo pensato a quanti non hanno potuto fare la stessa cosa. Troppi.
Marina
“ ……
Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio:
è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento…
Io chiedo come può un uomo uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento, in polvere qui nel vento…
…… ”
(Canzone del bambino nel vento di Francesco Guccini)
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