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I numeri dell’asino: il saluto di don Luigi Poretti

Questa volta mi sento io stanco come l’asino di mio nonno...

I NUMERI DELL'ASINO

Questa volta mi sento io stanco come l’asino di mio nonno: dopo tanti anni passati con voi a tirare un carretto sempre più pesante ho chiesto di fermarmi nella stalla.
Vorrei fare una semplice riflessione con voi, poi spero di avere il tempo per meditare con calma e soprattutto pregare un po’ più a lungo.
Questi pensieri che vorrei comunicarvi prendono spunto dai numeri che hanno caratterizzato la mia vita finora.

23 – È il numero degli anni che ho passato qui a S.Paolo: sono arrivato ufficialmente l’8 dicembre 1993. Era la mia prima volta che mi trovavo a fare il parroco: qualche timore mi faceva tremare l’anima e ho deciso di accettare la proposta che mi veniva fatta affidandomi alla misericordia di Dio, perché non mi sentivo né degno né capace. Era la festa dell’Immacolata e ho offerto a Lei tutti i miei propositi. Il primo anno ero solo con solo l’aiuto nel fine settimana di don Angelo Calloni, che insegnava nel Seminario di Venegono.
Ma i parrocchiani cominciavano pian piano ad aumentare ed ho chiesto un aiuto stabile: è arrivato don Renato Bettinelli che collaborava anche nell’Oratorio di Mazzafame. Dopo solo sei anni l’hanno chiamato a fare il parroco e a fatica sono riuscito ad ottenere un altro aiuto. È stato nominato don Claudio Stramazzo: con lui ho passato dieci anni di fraterna collaborazione, ma poi a sua volta è stato nominato parroco.
A questo punto mi hanno detto che non c’erano più preti. Ho pregato tutti i Santi e anche il Vicario Episcopale di allora: per miracolo ci hanno assegnato don Simone Seppi come Diacono per un anno e poi per tre anni come prete.
Alla fine del suo primo mandato triennale speravo nella riconferma, invece è stato trasferito nella parrocchia madre dei S.S.Martiri “promosso” responsabile della pastorale giovanile di tutta l’Oltrestazione.
Contemporaneamente ho perso anche il preziosissimo aiuto di suor Redenta, trasferita a S.Fermo di Varese. Allora ci è stato “regalato” don Patrizio Croci, prete novello, ma come residente, perché il suo ruolo è quello di Cappellano del nuovo Ospedale, dove ovviamente svolge quasi tutto il suo ministero.

70 – Sono i miei anni suonati al mese di maggio: ho cominciato ad accusare stanchezza, soprattutto perché la mia salute mandava qualche segnale di fragilità. 
Dopo il secondo svenimento sull’altare mi sentivo inadeguato al compito di parroco. Sto mangiando più pastiglie che pastasciutta ed ho bisogno di controlli medici costanti.
Ho mandato segnali di fumo al nostro Vicario Episcopale, che temporeggiava ricordandomi che sarei dovuto restare fino ai settantacinque anni, mi invitava a resistere, mi prometteva un altro aiuto, ma alla fine ha capito che 70 era già un bel numero. Anche nel mondo ebraico ai tempi di Gesù il 7 significava molto e 70 moltissimo: vi ricordate quando rispondendo a Pietro il Signore disse di perdonare “non solo sette volte, ma settanta volte sette”? Il ’70 è anche l’anno della mia Consacrazione Sacerdotale e allora continuo a giocare con i numeri.

46 – Sono i miei anni di sacerdozio. Era appunto il 27 giugno del 1970 quando il Cardinale Giovanni Colombo nel Duomo di Milano mi consacrò prete.
Emozione e gioia si miscelavano e mi facevano volare verso quello che era stato un sogno, diventato poi un desiderio e infine una decisione.
Ma questi sentimenti sono stati messi alla prova ben presto perché dopo meno di un mese ero già a Parabiago, immerso nella contestazione giovanile, tipica di quegli anni e particolarmente vivace nella situazione che stavo affrontando.
Seguirono dieci anni di fatica, ma anche di entusiasmo, con una totale immersione nel mondo dei ragazzi dell’Oratorio Maschile che andava riempiendosi con il pacificarsi della società.
Ero contento, ma il Vescovo mi ha chiamato a Luino in un ambiente naturale splendido, ma con diverse difficoltà, tanto che i capi mi invitarono presto ad abbandonare il lago per tuffarmi nella realtà caotica di Milano.
Mi trovai nella grande parrocchia della Santissima Trinità con altri tre preti italiani e uno cinese per la comunità orientale molto numerosa nel quartiere che ancora oggi è definita la Cinatown di Milano.
Sono stati altri dieci anni molto belli, passati questa volta all’Oratorio Femminile, inizialmente con qualche difficoltà perché ero abituato a stare solo in mezzo ai maschi. Ma è stata una avventura interessante alla scoperta “dell’altra metà del cielo”.

Altrettanto utile per me è stato il ruolo di insegnante di religione nel Liceo Scientifico statale: il mondo giovanile mi aveva sempre coinvolto molto, ma in quella situazione è stato particolarmente arricchente anche per la mia vita di uomo e di prete.
A proposito il ’46 è anche il mio anno di nascita.
Ora eccomi qui: nato nel 1946, diventato prete nel 1970, con 23 anni di impegno nella nostra bella parrocchia, dove ho passato proprio la metà dei 46 anni di tutta la mia vita sacerdotale e a 70 anni passo il testimone a don Fabio: prego per lui e gli auguro di trovare nella nostra comunità la gioia, l’accoglienza e la comprensione che ho sempre sperimentato tra voi.

p.s. – Ho scelto di restare a vivere in un appartamento del quartiere, un po’ perché ormai è il mio mondo, ma soprattutto perché qui ci sono i medici che mi hanno in cura. Mi è stato preannunciato un incarico più leggero, ma non in parrocchia, così il nuovo parroco sarà libero di impostare la vita pastorale come lo Spirito Santo gli suggerirà. Ci incontreremo per strada o per la spesa, ma vi prego di evitare ogni pettegolezzo: sarò veramente contento solo quando saprò che state volendo bene a don Fabio come ne avete voluto a me, anzi, sperò di più!

d. Luigi

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 18 Settembre 2016
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