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Storia e “anime” di Legnano: la battaglia, le fabbriche e una società in trasformazione

Uno sguardo al passato può fornire chiavi di lettura per il presente, a cura di Giorgio Vecchio...

Uno sguardo al passato può fornire chiavi di lettura per il presente. Dall’antichità ai Comuni, dalla “rivoluzione industriale” fino al passaggio da borgo agricolo a realtà operaia. Il legame col capoluogo – che precede la “città metropolitana” – e una memoria collettiva che si esprime anche nel Palio

Legnano è stata per secoli uno dei borghi rurali di Milano: qui le famiglie nobili milanesi, possedevano feudi e campi; qui stavano le fattorie e i mulini – come quelli resi celebri nella confinante San Vittore Olona dalla corsa campestre dei Cinque Mulini –; qui alcune famiglie venivano a trascorrere il periodo estivo, anche per controllare da vicino la produzione agricola. Si producevano cereali, frutta e verdure, ma anche, sembra incredibile, un vinello leggero, ma apprezzato fin dal Medioevo e ben venduto nella vicina metropoli. Talvolta, inoltre, le residenze a Legnano servivano come temporaneo rifugio ai possidenti quando Milano diventava epicentro di tumulti e rivolte, comprese quelle risorgimentali.

Il legame con Milano

La già notevole vicinanza geografica sulla strada che dalla metropoli portava al Lago Maggiore e al Sempione, fu poi ridotta nel 1861 con l’apertura della linea ferroviaria. Al 1924 risale invece il casello autostradale, su quella Milano-Laghi che fu la prima autostrada costruita al mondo.
Il legame con la metropoli fu rinsaldato dallo sviluppo industriale del secolo XIX: gli imprenditori in ascesa risiedevano spesso nella più comoda e pur vicina città ambrosiana. Proprio questo sviluppo avrebbe definitivamente stravolto consuetudini plurisecolari e creato diversi rapporti con la metropoli in un complesso movimento che era contemporaneamente centrifugo e centripeto. Lo dimostra la realtà attuale, dominata dal pendolarismo quotidiano dei legnanesi verso Milano, a sua volta determinato dal fatto che molte famiglie hanno preferito traslocare a Legnano per approfittare di un contesto urbano più vivibile e di minori costi per l’abitazione.
Il rapporto con Milano ha certamente condizionato lo sviluppo politico e amministrativo e questo anche prescindendo dal processo fondativo in corso della nuova “città metropolitana”. Insomma, il passato e il presente di Legnano sono imprescindibili da Milano, ma la nostra città possiede comunque caratteristiche proprie, che consentono di delinearne quella che potremmo definire la sua “anima” specifica.

Tessuto produttivo

Nel corso dell’Ottocento il corso d’acqua dell’Olona cominciò a essere sfruttato in modo diverso: dai mulini si passò agli impianti industriali, secondo un fenomeno che caratterizzò tutto il suo bacino nel medio corso e che arrecò fortuna a città come Gallarate, Busto Arsizio e appunto Legnano. Lo sviluppo fu favorito dalla presenza di capitali e di imprenditori stranieri: nel 1821 Martin introdusse alcuni macchinari per filare; seguirono il cotonificio di Krumm, quello di Costanzo Cantoni e altri. La filatura del cotone e le filande seriche attrassero manodopera e Legnano abbandonò rapidamente il suo aspetto di tranquillo borgo paesano di sole duemila anime, avviandosi a diventare – come disse qualcuno – la “Manchester d’Italia”. 
Il processo fu contraddistinto da elevatissimi costi sociali: le malattie conseguenza di tante carenze igienico-sanitarie e alimentari e tipiche dell’industrializzazione ottocentesca si aggiunsero alla piaga endemica della pellagra, che qui si cita per ricordare che il primo pellagrosario sulla penisola fu aperto proprio a Legnano, per opera di Gaetano Strambio, già nel 1784.
Dopo l’Unità, lo sviluppo del tessile funse da volano per il settore meccanico: bisognava infatti dotarsi in loco di aziende capaci di produrre e riparare i telai. Fu così che nel 1874 nacque la Cantoni & Krumm, poi Franco Tosi (1881). In quello stesso periodo sorsero le industrie che avrebbero connotato la storia della città, dai cotonifici Bernocchi, Dell’Acqua, Banfi (poi De Angeli-Frua) alle fonderie e alla meccanica di ogni genere. Tra le curiosità va collocata l’esperienza della Fial (Fabbrica Italiana Automobili Legnano).
Proprio la Franco Tosi si sarebbe consolidata nel XX secolo come la punta di diamante dell’industria legnanese, in grado di garantire un futuro economico certo a migliaia di legnanesi grazie alla produzione di turbine, caldaie, motori marini, tutto materiale esportato su scala mondiale. La “mamma Tosi” sembrò a lungo poter resistere alla crisi che intanto – e parliamo della seconda metà del Novecento – andava radicalmente mutando il panorama. All’incirca attorno agli anni Sessanta, infatti, incalzati dalla più generale crisi del settore e dalla concorrenza estera, chiusero via via i battenti la Dell’Acqua, la De Angeli Frua, la Bernocchi, la Cantoni, rendendo disponibili enormi aree situate in pieno centro, che divennero argomento di roventi dibattiti politici e di speculazioni, oltre che causa di un cambiamento altrettanto radicale del panorama urbano.
Purtroppo dagli anni Ottanta si manifestarono sempre più anche le difficoltà della Tosi, con un tourbillon di passaggi di proprietà, di ridimensionamenti produttivi e occupazionali: oggi ciò che resta della gloriosa fabbrica è ancora fonte di gravi preoccupazioni e di concitate trattative.
Intanto, però, la genialità di nuove generazioni di imprenditori, tecnici e operai ha consentito lo sviluppo di aziende di piccole dimensioni, ma capaci di collocarsi in nicchie di elevata e sofisticata qualità tecnologica.

Legnano operaia

Lo sviluppo descritto ha marcato la città. Le ciminiere, i capannoni (spesso costruiti con criteri che oggi rientrano nell’ambito dell’archeologia industriale) e il suono delle sirene si sono accompagnati per decenni alla visione di centinaia di uomini in tuta blu che a piedi o in bicicletta entravano o uscivano dalle fabbriche. 
La forza di questa componente sociale si vide bene durante la II guerra mondiale, quando le fabbriche legnanesi subirono la pressione dei comandi militari tedeschi intenzionati a sfruttarne le potenzialità. Fu però allora che le maestranze si mossero in modo opposto, contribuendo ai grandi scioperi del 1943 e del 1944, fino a diventare vittime della repressione. Per Legnano la data del 5 gennaio 1944 rimane scolpita nella memoria: fu in quel giorno che le SS entrarono in forze alla Tosi, arrestarono decine di tecnici e operai e alla fine ne deportarono nove verso i loro lager. Quell’avvenimento costituisce solo il culmine di una catena repressiva, contro la quale Legnano oppose una forte carica resistenziale, che trovò poi due simboli – diversi ma complementari – nei due martiri Mauro Venegoni (comunista) e Giuseppe Bollini (cattolico).
Questa forza della classe operaia non riuscì tuttavia a produrre un’egemonia politica nel dopoguerra e Legnano – come del resto Milano – non imitò Sesto S. Giovanni e non si trasformò in un’altra “Stalingrado d’Italia”. L’evoluzione amministrativa si connotò infatti per la prevalenza della Democrazia cristiana, praticamente sempre al governo della città fino alla sua dissoluzione.

Il tessuto ecclesiale

Nella storia cittadina ha certamente avuto un ruolo la Chiesa cattolica. Dall’unica parrocchia esistente fino alla conclusione del secolo XIX, si passò alle quattro che caratterizzarono gran parte del secolo successivo, secondo una distribuzione territoriale che corrispondeva ai tre grandi spicchi della città, divisi dalla ferrovia e dalla strada del Sempione. Quattro parrocchie, sì, ma otto oratori per i più piccoli, per rispettare la netta separazione tra i due sessi e per offrire una gamma di servizi che corrispondevano a una solida tradizione milanese e lombarda, antecedente alla più nota opera di don Bosco.
A dire del rilievo di questa ramificata presenza e della sua incidenza basta ricordare che il celebrato gruppo filodrammatico dei “Legnanesi” di Felice Musazzi nacque nel 1949 proprio in un oratorio: il ricorso al travestimento di giovani maschi per impersonare le figure femminili fu dovuto al divieto di far recitare le ragazze all’interno dell’oratorio maschile. Sia benedetto quel divieto, a causa del quale presero forma le immortali maschere dialettali della Teresa e della Mabilia.
Ovviamente il radicamento della Chiesa, ancora consistente oggi, continuò a esercitarsi a tutto campo anche nel mondo adulto, favorito anche da una frequenza alla pratica religiosa superiore ad altre aree, seppure ridimensionata dai processi di secolarizzazione dell’ultimo quarto del Novecento.

Cultura e società

Un cenno va fatto, in questa panoramica, al settore dell’istruzione. Elemento caratterizzante è stato anche qui lo sviluppo industriale. Fu infatti esso a spingere le varie aziende a dotarsi di scuole professionali interne per favorire la formazione delle giovani maestranze. In questa linea spicca però l’iniziativa voluta dal senatore Antonio Bernocchi che nel 1917 prese la decisione di fondare un istituto, aperto due anni dopo, che via via propose corsi di diploma di perito validi per i settori meccanico, tessile, elettrico,  e altro ancora. Nello stesso periodo prese vita l’istituto intitolato a Carlo Dell’Acqua per ragionieri e poi anche geometri, mentre il Liceo scientifico avrebbe dovuto aspettare il secondo dopoguerra.
In questo panorama andrebbero però inserite le tante iniziative per le giovani operaie, con convitti di varia natura e soprattutto con l’istituto “Barbara Melzi”.
Andrebbe peraltro ricordata la cultura umanistica. Basterebbe soltanto l’esempio della figura di Augusto Marinoni, filologo e dialettologo, assurto a fama mondiale come studioso dei codici di Leonardo da Vinci.

Battaglia e Palio

A proposito di cultura umanistica. La vittoriosa battaglia del 29 maggio 1176 – per la quale, per la verità, Legnano offrì soltanto il campo – ha contrassegnato tutta la successiva storia cittadina, entrando di prepotenza nella ricostruzione mitica della storia patria al tempo del Risorgimento. La lotta dei comuni settentrionali contro il Barbarossa diventava in quel frangente l’anticipazione ideale di quella contro il dominio austriaco (così come sarà ripresa ai tempi della Resistenza antifascista e antinazista). Non è per caso che l’unica città oltre a Roma che venga celebrata nel Canto degli italiani di Domenico Novaro, ovvero il cosiddetto Inno di Mameli, sia proprio la nostra: «Dall’Alpi a Sicilia / Dovunque è Legnano». Ma è noto che al consolidamento del mito della battaglia si dedicarono anche Giuseppe Verdi, la cui Battaglia di Legnano fu messa in scena nel 1849, oltre a poeti quali Giovanni Berchet e Giosuè Carducci. 
È opportuno aggiungere che il pittore che – negli anni pre e post-unitari – maggiormente si cimentò nella descrizione fu Amos Cassioli, senese di Asciano e artista la cui fama è legata anche alle opere dipinte per il Palazzo pubblico di Siena.
Ma non è un caso neppure la fama del monumento al condottiero di quella battaglia, Alberto da Giussano, inaugurato il 29 giugno 1900, dopo vicende tragicomiche seguite al precedente autorevole invito di Giuseppe Garibaldi. La spada sguainata di Alberto ha via via contraddistinto i reparti militari intitolati proprio a Legnano, ma anche le biciclette marca “Legnano” rese famose da un toscanaccio come Gino Bartali, prima che una recente forza politica decidesse di appropriarsene.
Proprio la memoria della battaglia è diventata lo spunto per celebrare in città, fin dal 1935, un Palio delle Contrade, attorno al quale – con il tempo – si è consolidato un vivacissimo contesto fatto non soltanto di rivalità, ma pure di recupero culturale delle passate tradizioni medioevali e di coinvolgimento di centinaia di persone in preziose attività di collaborazione sociale. Anche grazie alla presenza di fantini reduci dal Palio di Siena, si potrebbe dunque osar dire che Legnano è, in questo senso, una sorella piccola – ma dignitosa – della ben più importante e celebre vostra città.

Giorgio Vecchio

Redazione
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Pubblicato il 08 Agosto 2015
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